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sabato 21 marzo 2015

L’arte di insegnare, seconda solo al mestiere di vivere

     Non c’è mestiere più faticoso dell’insegnamento. Nemmeno la recitazione può reggere il confronto. L’attore, specie se balzato agli onori dei palchi con estrema rapidità, è un idolo ma in fondo rappresenta un’icona sterile e passeggera. Il professore invece è un idolo che racchiude un esempio da seguire. Quando cominci ad insegnare, ti trovi di fronte un gruppo di sconosciuti ai quali devi rendere familiare una disciplina, ma anche «la disciplina». Se per indole sei abituato a nuotare contro corrente, sperimenterai tacitamente un metodo di insegnamento che ti auguri funzioni perché è tutto quello in cui hai sempre creduto: far imparare divertendo. Perché se in classe l’atmosfera è colma dell’entusiasmo che ti ha accompagnato anche nei periodi duri della vita, allora gli alunni la percepiscono e ne restano stupefatti. È un metodo di cui non si può parlare in giro perché si rischia l’incomprensione, ma l’eloquenza è negli effetti che determina.
 Poiché troppo giovani per comprendere il senso della sobrietà e poiché figli di una società in cui il rispetto non è più prioritario, dovrai mostrare loro il caleidoscopio delle emozioni. Il tuo sguardo dovrà emanare delusione e penetrare i loro occhi. Le tue parole dovranno illustrare la vanificazione delle aspettative. E il tutto può avere in dotazione il colpo secco di un pugno sulla cattedra. Poi leggerai nei loro sguardi il rimorso per aver dato per scontato il prezioso metodo di insegnamento che li stava formando al meglio. L’ammissione di colpevolezza completerà il quadro con un barlume di quella maturità che si sta temprando pian piano. Chi insegna deve essere tenace e non mollare mai. La tua missione è quella di edificare l’avvenire dei tuoi alunni affinché sia migliore di quello che auspicavano per te. In loro si lascia un segno perenne che mai finirà nell’oblio. Non si può non insegnare con il cuore e con coscienza.
Poi si conclude il ciclo di lezioni e gli studenti varcano la soglia dell’aula con una bellissima orchidea bianca con sfumature fucsia. Ti hanno regalato il fiore che simboleggia raffinatezza, eleganza, armonia e passione. Ed hanno accompagnato il pregiatissimo dono alla gratitudine per la pazienza dimostrata e per aver concesso loro una magica avventura. Ti accingi a salutare quella generazione di allievi e presto ne conoscerai altri destinati a veder la propria vita cambiare perché saprai conservare la stessa dedizione nel tuo mestiere. Nemmeno mille decreti sull’istruzione saprebbero descrivere con la stessa profondità d’animo quella che potrei definire… l’arte di insegnare, seconda solo al mestiere di vivere.

sabato 14 marzo 2015

Smartphone e smart-use

Per un uso intelligente del cellulare “smart”
   Sociologi, psicologi, giornalisti, insegnanti e genitori discutono spesso sull’uso corretto dello smartphone. Ogni buona premessa è disattesa e questo gioiello della tecnologia finisce in mani anagraficamente sempre più piccole. Converrebbe ascoltare le opinioni delle giovani vittime del nuovo sistema sociale avvolto nel progresso tecnologico. Cediamo loro la parola. (Introduzione di S. Calabrese).
   Non credo di essere stata ancora “intossicata” dal mio cellulare perché riesco ad usarlo senza esagerare (A. Polimeno).
   Noi adolescenti desideriamo gli ultimi modelli di telefonini solo per seguire la moda. Poi arriva la dipendenza che ci porta ad avere gli occhi fissi sul display continuamente per futili attività. Tutti i ragazzi sono “drogati di tecnologia” (M. Paradiso).  
   Ho un buon rapporto col cellulare, a volte dimentico perfino di averlo, ma al suono delle notifiche su whatsapp non rinuncio (G. Bartoli).  
   Ammetto la mia dipendenza e l’uso scorretto che faccio del cellulare (A. Triggiani).  
   Ne faccio un uso controllato e credo che chiunque dovrebbe ridurne la durata di utilizzo (L. Guerra, M. Buonsante, E. Perrone).
   Cerco di averne cura, ma mi capitano incidenti maldestri ed i miei genitori mi donano sempre l’ennesima possibilità acquistandomi un nuovo telefono, ma questa volta è proprio l'ultima (G. Carenza).
   Credo di non sopportarlo. Lo uso per telefonate o messaggi, talvolta per ascoltare musica. Tuttavia le varie applicazioni sono un buon rimedio contro la noia (C. My).  
   Sono ossessivamente dipendente da quel malefico aggeggio e non riesco a stare senza, rischio una profonda crisi esistenziale. Buona parte della mia giornata si spreca a chattare, ma vorrei tanto riuscire a staccarmi dal cellulare. Sarebbe giusto usare questo apparecchio con moderazione e controllo. Tutto dipende da noi, non si può colpevolizzare la tecnologia (C. Cellamare).
   Trovo che sia insostituibile. È uno dei miei passatempi preferiti ed ha letteralmente spodestato libri e ricerche personali (M. De Santis).
   Lo considero un oggetto necessario ma non indispensabile, eppure appena posso mi ci lascio ipnotizzare. A chi lo definisce un “oggetto diabolico” rispondo che è uno strumento come tanti, dipende dall’uso che se ne fa (A. Petrarolo).
   È presente in ogni casa ed ha perso il suo scopo primario. Non è colpa del dispositivo, ma degli utilizzatori che passano più tempo online che nella vita vera. Se usato con responsabilità può rivelarsi utile in molte situazioni (A. Faraone).  
   Non passo troppo tempo con lo smartphone, ma ne apprezzo la veloce navigazione (M. Olivieri).
   La mia dipendenza va dall’alba al tramonto. Questi oggetti dovrebbero essere visti come strumenti di ricerca (M. Benvestito).  
   Preferisco negare di avere uno smartphone piuttosto che ammettere la mia dipendenza. La mia è un’ossessione che si estende ai telefoni delle mie amiche e spesso causo qualche guaio come è accaduto oggi (C. Nardelli). 
   Infatti Carola ha inserito compulsivamente codici errati sul mio cell. causandone il blocco. La mia reazione spiega il rapporto che ho con questo oggetto tecnologico: ho avuto un’inesauribile crisi di pianto. Non ero più in me (M. Laviosa).  
   Ammetto che dovrei usarlo di meno, ma mi attira il poter fare tante cose (A. Vlora).  
   Non mi separo mai dal telefono e troppo spesso mi estraneo completamente dalla realtà. Non lo uso come strumento di lavoro, bensì come interminabile gioco (M. Polignano).  
   Sarebbe meglio non usarli perché causano dipendenza. Sono grata ai miei genitori per avermi punita privandomi del cellulare per un mese intero perché ho cominciato a sentirmi meglio (D. Minunno).
   Lo smartphone ha preso possesso delle nostre menti. Ogni momento è orientato alla condivisione sui social. Si impiega sempre meno tempo sui libri e si trascura il fatto che potremmo usarli come strumento che ci agevoli nello studio (M. Micunco).
   Non metteremo mai fine alla dipendenza che avvertiamo. Non siamo così forti, siamo troppo giovani per avere questa determinazione. I nostri genitori sono in disaccordo sull’impiego ininterrotto dello smartphone, eppure sono stati loro a fornircelo e a munirsene loro stessi. Sono prede tanto quanto noi (Tutti).
Gli alunni della scuola media "Gaetano Santomauro" A.S. 2014/2015
Visita le sezioni "Gli alunni della Santomauro" e "Newspapergame".
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domenica 1 marzo 2015

Presine all’uncinetto

     Stanchi del made in china? Stufi dei prodotti in fibra sintetica? Riportate in vita una antica tradizione: l’uncinetto.
     Le nuove presine da cucina non solo prenderanno forma tra le vostre mani, ma le proteggeranno dalle scottature.
Della sezione "Uncinetto" fa parte anche: