Anna Paola Lacatena, Resto umano. Storia vera di un uomo che non
si è mai sentito donna, Chinaski
Edizioni, Genova 2014, pp. 174, euro
14,00.
L’opera propone la ricostruzione di una storia vera. In
realtà raggiunge obiettivi decisamente elevati. Partendo dalla dimensione del
ricordo dell’autrice si giunge a rivisitare l’intera dimensione dell’infanzia
della/del protagonista. Con la generosità propria dei racconti di vita la
storia a noi donata, con spirito di profonda immedesimazione, rappresenta un
prorompente stimolo alla sensibilità e alla tolleranza. Esattamente quello che
occorre ad una società, come quella odierna, tanto avanzata quanto arretrata
poiché preda dell’omofobia e della transfobia.
Il testo è ripartito in due sezioni: una biografica, ma
pregna di immedesimazione, ed una dedicata agli approfondimenti tematici frutto
di una ricca bibliografia.
Anna Paola si ritrova a scrivere di ciò che non ha vissuto
personalmente. Un’occasione dalla duplice valenza di onore ed onere allo stesso
tempo. Ma la rara virtù dell’immedesimazione che evidentemente caratterizza
l’autrice, l’ha condotta a stilare un percorso identitario che un giorno potrà
rivelarsi salvifico per qualcuno.
La tematica affrontata è quella dell’identità, la cui
costruzione trova la sua culla nel delicato periodo dell’infanzia, quel periodo
di vita che col trascorrere degli anni si fa sempre più sfocato e a tratti
quasi nitido. È in quel passato che ci ritroviamo a cercare risposte. Tutto ha
origine nell’infanzia. Le esperienze dei primi anni di vita possono avere
conseguenze sull’intera esistenza. Quell’infanzia che transita rapidamente è
incastonata, suo malgrado, in un preciso ambiente educativo che ci lascia in
dote la zavorra di ricordi ed impressioni indelebili, per sempre
interiorizzate.
L’infanzia può essere negata. Allo stesso modo l’identità
può essere indefinita.
La sessualità costituisce una componente identitaria,
socialmente riconosciuta, che spesso entra in contrasto con la dimensione
interiore. Michela esteriormente e Miki interiormente. È il destino a compiere
di questi errori che sembrano tanto simili a dispetti? E a quale regista spetta
l’attribuzione dei ruoli? Ci si può liberare da un ruolo assegnato se esso si
rivela conflittuale rispetto alla parte più profonda di sé? Apparenza ed
essenza sono colleghe che operano su livelli gerarchici differenti. E il genere
si pone tra di esse esprimendo identificazione ed appartenenza. L’armonia è
d’obbligo. Se manca va ricercata.
Tra gli anni ’70 e ’80 del Novecento si sono susseguiti i gender studies (studi di genere) che
hanno preso in esame il tema del transgender.
Si sono attuate anche numerose transizioni sessuali configuratesi come ripicca
verso la vita ricevuta in dono. La verità è che nessuno studio o resoconto
medico ha mai saputo dar voce al dolore interiore, a quell’agonizzante identità
racchiusa in un corpo che non le appartiene. L’evasione da sé è un bisogno
spontaneo ed immediato. Una reazione che ha bisogno di incontrare un soccorso
affinché non vada smarrita la propria identità.
L’omofobia, la transfobia, l’aberrazione sessuale sono
divenute parole di uso comune che lasciano trasparire la massima intolleranza
nei confronti di una realtà che siamo invece chiamati a conoscere e
comprendere.
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