Un
brutto ricordo che appartiene al 2014
Ho giocato a
calcio per anni, ma non ho mai scritto nulla su questo «nobile sport» forse
perché si è dimostrato raro tale accostamento lessicale. Il gioco del calcio è
metafora di vita: la vittoria rende tutto semplice, ma è la sconfitta che
rivela chi siamo.
L’Italia dei mondiali 2014 ha palesato una certa arroganza fin dal
ritiro: Prandelli sembrava artefice di una formula infallibile poiché aveva
allenato gli azzurri abituandoli a condizioni climatiche affini a quelle
brasiliane e affidato loro una dieta ricca di sali minerali per evitare crampi
muscolari; Balotelli in conferenza stampa con falsa modestia dichiarava di non
voler essere considerato una star anche se in qualità di punta è lui che decide
le sorti del match. La prima vittoria non ha fatto che incrementare il livello
di superbia schiacciando quell’umiltà che tanto si reclama e poco si mette in
pratica. Sentivano di aver vinto ancor prima di entrare in campo contro il
Costa Rica, squadra che asseriva di conoscere l’Italia come il palmo della mano
avendone studiato ogni partita e che tuttavia si sentiva onorata di affrontare
un match impegnativo e non vincente in partenza. La nazionale ha manifestato la
sua vera indole: poco gioco di squadra e troppe verticalizzazioni ad un
Balotelli sul filo del fuorigioco, pronto a calciare nello specchio piuttosto
che a muoversi. Al termine dell’incontro il CT affermò che non ci si aspettava
una squadra tanto aggressiva. Una dichiarazione che si commenta da sola! Ci
siamo illusi di vedere un’Italia diversa con l’Uruguay. La precedente sconfitta
nulla ha insegnato agli idoli d’Italia. Un gioco spesso sleale con ripetuti
sgambetti sulla fascia laterale e profondi palpeggiamenti in fase di marcatura.
Poi il morso di Suarez a Chiellini… preliminari!? Quel calcio che da sempre
unisce ed infuoca i tifosi si è reso ridicolo e in un mare di delusione
ciascuno spettatore dice quel che pensa. Per essere ben pagati hanno sempre
musi lunghi; si gioca per divertirsi e il gioco non è un vero lavoro! I
calciatori spendono troppo tempo a girare spot pubblicitari che ad allenarsi
duramente. Poco coesi e sportivi hanno disonorato una professione straordinaria
in un periodo di dilagante disoccupazione. Si passa ad accusare l’intero sistema
calcistico che investe in stranieri e non in scuole calcio per allevare
promesse nostrane. Si additano gli stadi privi di ammodernamenti: le famiglie
dovrebbero poterci trascorrere intere giornate in relax ed armonia, ma mancano
adeguate strutture presenti invece all’estero. Esecrabile è stata considerata
la location dei mondiali in un Brasile denso di indigenza e sfarzo. Tutto il
risentimento che gli italiani provavano per il calcio è emerso con la
prorompenza di un’eruzione vulcanica. Pare che la nazionale abbia rispecchiato
la situazione mentale e strutturale del paese che rappresenta. Ma anche la
tifoseria fa parte di questo marchingegno: siamo pronti ad esternare un amore
viscerale verso chi vince ed è popolare, ma basta una sconfitta per ignorare
gli idoli di una vita. Il vero tifoso conforta la propria squadra soprattutto
nei momenti critici. È semplice coerenza.
Da “La
Gazzetta del Mezzogiorno”, 3 luglio 2014, p. 24.
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