Translate in your language

martedì 30 giugno 2015

Università. I concorsi, scusanti per assumere raccomandati

Una testimonianza sul perpetuo marciume universitario
Fin dalle prime agitazioni dei ricercatori universitari contro il Decreto Gelmini, voci all’unisono affermavano la possibilità della privatizzazione delle Università. I tagli alla ricerca e l’incremento delle tasse avrebbero reso l’Università pubblica un ente privato. Con questo assunto facevano dell’apologia al proprio scioperare (creando roghi con i loro curricula) ed invitavano i laureandi ad aderire all’agitazione, a costo di perdere un semestre. Alla stregua di una divulgazione mediatica, l’idea della privatizzazione si è insinuata in ogni dipendente accademico. Ma si tace una scomoda verità di cui posso parlare solo ora che ho conseguito, da infiltrata speciale, un dottorato presso l’Ateneo barese. Esso funziona da tempo o da sempre come un organismo privato.
Negli enti pubblici la selezione avviene per concorso di cui si pubblica il bando sulla Gazzetta Ufficiale. I candidati si sottopongono ad una valutazione oggettiva per titoli, pubblicazioni ed esame concorsuale. L’idoneità al superamento del concorso dovrebbe fare rima con meritocrazia, ma esistono altre subdole leggi a governare le assunzioni. L’attitudine alla ricerca non sembra essere individuata in sede di selezione. Una volta entrata nell’organico mi è bastato osservare strani atteggiamenti per comprendere che c’era più d’una mela marcia nel cesto. Mi sono ritrovata invischiata in vorticosi giochi di potere (di cui possiedo regolari registrazioni e documentazioni). La mia collega era tra i favoriti per aver svolto un lavoro di tesi con la docente (in realtà con una sua collaboratrice), ma in tre anni il suo presunto potenziale non ha dato cenni di vita. Ha intascato una cospicua somma di denaro per un lavoro non presentato entro i tempi stabiliti. La progenie del capo aveva condotto un dottorato con una docente ordinaria amica di famiglia. E per proseguire con i riferimenti incrociati, nel mio corso c’era la figlia di un’altra ordinaria che oltre a vantare un’amicizia col capo, è inserita nel collegio dei docenti. Meno male che ai figli tocca il cognome paterno che evita sospettose omonimie. La ricerca si basa sull’individuazione di progetti inediti e originali, ma pur lavorando in totale autonomia, viene impedito di pubblicare il lavoro svolto e le minacce che accompagnano tale diniego sono spesso incontrollate. C’è eleganza nei portamenti di questi baroni che san schiamazzare e rovesciare bottigliette d’acqua in sede di conseguimento del titolo al cospetto di una commissione esterna. Tutto ruota attorno al potere da mantenere e accrescere a discapito di meritocrazia e coerenza. Spesso capita che un buon progetto, indispensabile a terminare il dottorato, venga bramato dal coordinatore che vorrebbe esibirlo come proprio durante un convegno cercando di gabbare il dottorando cui occorre un progetto che arrivi vergine alla dissertazione finale. Forse nel loro grande disegno, ancor prima di indire un concorso che di pubblico ha solo il nome, hanno già in mente i vincitori. Ma di cosa parlo? Un vecchio adagio popolare sostiene che i concorsi siano scusanti per assumere raccomandati. La Gelmini non può privatizzare ciò che è già privato.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 25 maggio 2015, p. 12.

Nessun commento:

Posta un commento