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domenica 6 agosto 2017

Gioia Tragica. Le forme elementari della vita elettronica

Recensione: Vincenzo Susca, Gioia Tragica. Le forme elementari della vita elettronica, Lupetti Editore, Milano 2010, pp. 240.
Generalmente la scelta del titolo deve essere ben ponderata. Esso deve incuriosire il lettore senza svelare totalmente il contenuto. Deve essere creativo per catturare l’attenzione di chi si accinge a leggere l’opera. Si tratta di un biglietto da visita privilegiato, sia per una tesi di laurea, sia per un libro da destinare al commercio. Gioia tragica dimostra di aver colto l’importanza di tale scelta. Infatti il sintagma è un ossimoro che forse indica la possibilità che la gioia sia perseguibile, ma a costo di qualche compromesso.
Gioia Tragica
A contribuire a spiegarlo c’è la prefazione di Marco Mancassola che non si è limitato a introdurre l’opera, bensì ha composto un vero e proprio saggio introduttivo includendovi numerose quanto attuali problematiche sociali e giovanili intuendone le radici storiche.
In apertura una citazione di Martin Heidegger che fa luce su un paradosso tipicamente giovanile, quello di esserci, al mondo, e non riuscire a sentirlo. Una possibile soluzione sarebbe quella di riuscire a lasciare traccia del proprio passaggio dal momento che sembra ormai appartenere al passato il «Cogito ergo sum» Cartesiano. Anche Ricoeur ha sostenuto che il Penso dunque sono, racchiudesse la tendenza dell’uomo a dubitare, una tendenza che sfiora l’ostinatezza.
Per far fronte alla sfida le generazioni precedenti adottavano la ribellione per condurre la battaglia per l’esserci, oggi invece è la pratica della connessione che permette di testimoniare l’essenza di un individuo, da questo deriva la gioia di condurre una vita on-line, ma una gioia tragica perché ha il prezzo della dipendenza dallo stato di connessione, che ha assunto il senso dell’ingiunzione, dissolve la possibilità di salvaguardare la privacy e l’integrità individuale e last but not least ci condanna all’omologazione e dunque si torna alla rassegnazione dell’inautenticità.
Il testo fa uso di esempi cinematografici per dimostrare quanto la relazione tra scienza e potere sarebbe nulla se non si ammettesse l’umiltà come valore fondamentale per abolire i pregiudizi la cui logica graffiante non permette di scalfire nemmeno la verità più evidente. Si fa accenno all’alterità, al suo rispetto, alla capacità di avvicinarsi empaticamente a ciò che è altro da noi. Segue l’esortazione a provare a dare ascolto alla voce di quello spirito invisibile che prende il nome di intuizione, ispirazione, creatività, perché la mente umana nella sua intrinseca natura ha bisogno di accogliere l’altro da sé. Le forme più sorprendenti del sapere spesso attecchiscono in quegli ambiti che la modernità ha bandito o peggio ancora ha circoscritto.
L’opera si avvia alla conclusione narrando la rottura dell’equilibrio esistente tra lavoro e non lavoro che con successive declinazioni hanno assunto il volto di condotta buona e lasciva. Quando il contesto urbano cominciò a far da magnete con l’esca luccicante di un progresso da inseguire, l’uomo, impaurito da innumerevoli novità sociali e da crescenti responsabilità, cominciò a contemplare il concetto di evasione, più ampiamente premeditata per essere collocata all’interno del ciclo produttivo della società dei consumi di massa. L’evasione che fonde fuga e ricreazione, subì poi un’evoluzione che la portò a scindersi in evasione temporanea legata ai cosiddetti interstizi metropolitani ed evasione compatibile con la predizione ed il disimpegno un tempo considerate periferiche, poi socialmente riconosciute. 
Le ultime battute sono rivolte nuovamente all’identità, in questo caso elettronica, con riferimento al sottotitolo dell’opera. Il web è diventato un calderone di tanti sé come effetto dell’ansia di esserci in virtù delle forme dell’apparire nella vita elettronica. L’identità del terzo millennio rievoca le osservazioni di Walter Benjamin sulla fotografia utilizzata per protrarre l’esistenza dei defunti nelle dimore dei propri familiari. La contemporaneità permette all’identità digitale di sopravvivere alla persona fisica.

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