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domenica 26 novembre 2017

Famiglia e infanzia nella società del passato (secc. XVIII–XIX)

     Recensione: Giovanna Da Molin, Famiglia e infanzia nella società del passato (secc. XVIII–XIX), Cacucci Editore, Bari 2008, pp. 368. 
     Vi sono stati dei mutamenti nei processi di formazione della famiglia, che l’hanno resa oggetto di ricerche multidisciplinari. Al suo fianco, e di pari spessore scientifico, c’è l’infanzia. L’obiettivo che il presente volume si pone è di ricostruire e indagare gli aspetti della vita quotidiana delle popolazioni del passato. Per questo l’opera propone in apertura un viaggio nella storiografia della famiglia, campo privilegiato di ricerche di storia sociale. Si ripercorreranno le fasi che hanno determinato lo sviluppo delle ricerche sulla famiglia sottolineando l’importanza dei contributi portati in dote dal Cambridge Group e da Peter Laslett, al quale si deve lo schema classificatorio sulle tipologie familiari ancor oggi impiegato negli studi demografici. Lo studio delle strutture familiari deve molto a una fonte redatta dai parroci ai fini della somministrazione della comunione agli abitanti in prossimità del periodo pasquale, lo Stato delle Anime. Oltre ad un’accurata analisi delle strutture familiari in età moderna è possibile esaminare, pur considerando la difficoltà nel reperire le fonti, le relazioni familiari e i rapporti di parentela: sono gli atti notarili a svelare l’intricata trama dei sistemi di devoluzione del patrimonio e di formazione della dote. I rapporti di parentela presentano un ulteriore elemento rafforzativo e diverse sfumature. La parentela fittizia, in particolar modo il padrinaggio, assume forme e significati differenti a seconda dei gruppi sociali: rafforzamento, ascesa o l’instaurarsi di legami clientelari che consentissero l’ascesa sociale. Una ricca bibliografia permette inoltre di disegnare i quadri territoriali sulla famiglia italiana dell’Ottocento, enucleando i fattori responsabili della struttura e della dimensione degli aggregati domestici.
Famiglia e infanzia Cacucci
     Gli Stati delle Anime, redatti con regolarità a partire dal 1614, sono carenti di una preziosa informazione, il mestiere, contenuta invece in una fonte redatta una sola volta nel Settecento, il Catasto Onciario che ha permesso di descrivere le principali dinamiche demografiche e sociali sulla Terra di Bari al tempo dei nostri avi. Si ricalca lo schema tradizionale delle popolazioni di Ancien Régime: un regime demografico caratterizzato da un’elevata natalità e da un’alta mortalità. Mancanza di igiene, medicine e adeguate strutture sanitarie rendevano il parto un momento delicato sia per la vita dell’infante che per quella della madre. Se il bambino sopravviveva, iniziavano altre difficoltà: scarsa pulizia della casa materna, allattamento trascurato per la necessità della madre di lavorare, svezzamento precoce con alimenti inadatti, erano causa di carenze organiche e della morte di tanti bambini. Le donne si sposavano quasi tutte in giovane età e per la mancanza di metodi contraccettivi mettevano al mondo molti figli destinati in buona parte a morire nel corso dell’infanzia.
     L’opera ci restituisce una realtà nella quale il matrimonio non è un atto d’amore, bensì una negoziazione tra famiglie il cui fulcro era determinato dalla dote, parte del patrimonio familiare e parte del capitale d’onore della famiglia, da conservare e, se possibile, accrescere evitando di contrarre matrimoni con persone socialmente inferiori.
     Le descrizioni degli ambienti operate dall’autrice permettono al lettore di riuscire a guardarsi intorno immaginando con nitidezza gli scenari abilmente rievocati: condizioni di arretratezza e scarsa igiene che costituivano una grave minaccia per lo stato di salute.
     Ancora una volta è il Catasto Onciario a consentire lo studio di Famiglia, demografia e società a San Severo. Devastato da un terremoto nel Seicento, il centro dauno completò la sua ricostruzione nel Settecento. Grazie all’indicazione del mestiere nella fonte si può osservare l’indice di vecchiaia con il suo andamento differenziato per categoria socioprofessionale sullo sfondo di un contesto quotidiano caratterizzato da condizioni di vita precarie.
     L’elevata fecondità tipica del regime demografico naturale trova la sua spiegazione nella percentuale elevatissima di donne sposate, un fattore unito alla bassa età alle nozze.
     Gran parte della popolazione era costituita da braccianti poveri. Gli infanti che superavano il critico quinto anno di vita ne trascorrevano il resto in abitazioni, costituite da un’unica stanza, il cui arredamento era ridotto all’essenziale con feritoie al posto delle finestre, alta percentuale di umidità, scarsa ventilazione, assenza di pavimento e coabitazione con gli animali. Ma l’infanzia non è solo quella all’interno della famiglia: Per miseria o per vergogna vi è l’infanzia abbandonata in Italia nell’età moderna unita a L’infanzia orfana in Italia nell’Ottocento. Modelli assistenziali e aspetti demografici e sociali. A partire da Philippe Ariès si scandaglia uno strato storico per lungo tempo inesplorato, la storia dell’infanzia. Il bambino è spesso orfano o indesiderato, fa il suo ingresso in un istituto assistenziale e diviene figlio/a della Madonna per poi acquisire l’appellativo di figlio/a dello Stato con le innovazioni napoleoniche e l’impianto dello stato civile. Durante il governo francese emerse la premura di abolire l’usanza di dare il cognome Esposito ai trovatelli. Sarebbe stato un marchio di infamia che li avrebbe bollati a vita.
     Lo studio del fenomeno dell’abbandono delinea una distinzione di genere e apre uno spiraglio sul destino dei piccoli, la cui esile vita risente dei luoghi dell’abbandono, a volte tra i più sperduti, cosa che rende labile il confine tra abbandono e infanticidio. Tuttavia l’istituzione della ruota degli esposti si tradusse in una possibilità di sopravvivenza per i figli non voluti, nonché nella garanzia di tutela dell’integrità e della reputazione delle fanciulle attrici del gesto. L’autrice prende in esame i segni e i messaggi che vanno a incastonarsi nel ricco linguaggio dell’abbandono. Risultano scissi i paradigmi assistenziali in base al genere, ma avevano in comune l’apprendimento di un lavoro, la rigida disciplina e la salda scansione delle attività quotidiane per evitare disordini derivanti dall’inoperosità.
Chi si occupa dello studio del fenomeno dell’abbandono non può tralasciare La Santa Casa dell’Annunziata di Napoli, la più grande e importante istituzione per trovatelli del Mezzogiorno d’Italia.
     L’esame delle caratteristiche demografiche degli esposti mostra un abbandono prevalentemente femminile in quanto i maschi rappresentavano una potenziale forza lavoro. Il fenomeno registrava picchi maggiori in corrispondenza dei mesi invernali e primaverili, nei quali si verificava un incremento esponenziale delle difficoltà economiche, ed anche nei periodi di carestie ed epidemie.
     Troppo lungo è l’elenco delle malattie fatali per i bambini e ancora misconosciute per l’epoca. Questo aspetto rende interessante la lettura del capitolo Luigi Somma, un medico all’Annunziata di Napoli a fine Ottocento. Descrisse l’atmosfera dei brefotrofi come malsana e responsabile dell’insorgenza di molte malattie. L’aria pura avrebbe giovato ai piccoli più di ogni altra medicina. Gli sbalzi di temperatura erano causa di frequenti malanni. Lo svezzamento era precoce e avveniva con alimenti poco adatti ai neonati. Si riporta la descrizione di una zuppa, ideata da un medico, ottenuta stemperando in acqua e latte una miscela di farina di frumento, orzo e alcune gocce di acqua e bicarbonato di potassio. Ma l’assunzione della stessa generò nei bambini segni di deperimento organico e conseguente morte.
     Tutti i brefotrofi italiani lamentavano una penuria di buone e sane balie, le quali avrebbero dovuto curare la proprie dieta affinché non risultasse alterata la composizione del latte materno.
     Le note del dottor Somma rimandano all’idea dell’abbigliamento legato al grado di igiene del bambino, alla ginnastica con le sue doti preventive e curative di molte malattie. Le segnalazioni del dottore culminavano nell’auspicio che la realtà dei brefotrofi incoraggiasse il progresso della puericultura e della pediatria nel nostro paese.
     Al pari di un’arma carica e priva della sicura, il concetto di attentato all’onore femminile era un allarme sempre vivo. Nel primo trentennio dell’Ottocento per porre fine al disordine e alla licenziosità che regnavano nel conservatorio, si raggruppò un certo numero di fanciulle in un luogo detto alunnato. È così che si attua il passaggio Dal Conservatorio all’Alunnato. L’assistenza alle esposte dell’Annunziata di Napoli. Norme precise regolavano il funzionamento del conservatorio. Le ragazze vivevano in condizione di isolamento dal mondo esterno. Era vietato l’accesso in istituto a esponenti di sesso maschile, anche religiosi, che potevano “attentare all’onore” delle fanciulle. Le esposte che rientravano in conservatorio dopo aver trascorso del tempo al di fuori dell’istituto venivano confinate in alcuni locali, lontane dalle altre ragazze. 
     Venne attribuita enorme importanza al lavoro delle fanciulle dell’alunnato. L’Annunziata non ostacolava la richiesta dell’esposta di impiegarsi come serva, ma si impegnava a tutelarla nell’onore mediante la stipula di un contratto con la famiglia presso la quale la fanciulla andava a servizio. Tale contratto prevedeva la clausola dell’onore pericolante. Il pericolo di incorrere in abusi sessuali era una peculiarità nell’istituzione del servizio. Nel caso in cui l’onore femminile fosse stato compromesso, il padrone avrebbe subito una severissima ammenda che avrebbe costituito una dote per la fanciulla, consentendole un matrimonio di comodo con chi avesse considerato, e per l’epoca era cosa usuale, la disponibilità economica più importante dell’onore. L’atteggiamento protettivo dell’Annunziata usato nei confronti delle esposte che andavano a servizio era riservato anche alle esposte, ancora più giovani, affidate a balia.

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