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sabato 4 novembre 2017

Pensare la vita di Francesco Bellino

     Recensione: Francesco Bellino, Pensare la vita. Bioetica e nuove prospettive euristiche, Cacucci Editore, Bari 2013, pp. 398.
     In tempi incerti e complessi, occorre Pensare la vita. Il progresso ci ha consentito di scalare vette imponenti in ogni ambito, di raggiungere la dimensione immensa del cosmo e quella infinitesimale delle nanotecnologie. Tramite queste conquiste, il genere umano ha espresso potere, dissipandone una gran mole.
Francesco Bellino Pensare la vita Silvana Calabrese     Il potere presenta aspetti ignoti a chi da esso si lascia irretire: corrode l’integrità morale; disperde alcune certezze sostituendole con altre fittizie; comporta la perdita del potere di controllarlo, un aspetto paradossale ma inconfutabile.
     Cambiamenti radicali hanno coinvolto l’uomo che al tempo stesso è vittima ed aguzzino di se stesso.
A fronte delle minacce di morte nucleare ed ecologica alle quali siamo costantemente sottoposti, l’ebbrezza del progresso ha ceduto il posto ad antiche questioni filosofiche.
     Gli sconvolgimenti climatici di cui l’umanità è artefice potrebbero portare ogni forma di vita al crepuscolo. Per invertire la rotta occorre un serio impegno individuale che ci induca a varcare la soglia delle nostre certezze per protendere lo sguardo su una realtà ben più estesa: l’universo vitale all’interno del quale ogni danno cagionato su scala ridotta vedrà il suo effetto nettamente amplificato, spesso irreparabilmente. Tutto questo può tradursi in un semplice lemma: consapevolezza, la consapevolezza che ciò che accade a mille miglia da noi ci riguarda tanto quanto una ferita purulenta sul nostro corpo.
     C’è un vuoto intorno a noi, ma non è individuabile poiché colmato dalla sostituzione del valore col prezzo e dei valori con la materialità. Si tratta di una grave frattura morale che, se impiegassimo il gergo medico, definiremmo scomposta. Prendere coscienza dell’esistenza di tale frattura potrebbe liberare un profondo senso di angoscia e, al tempo stesso, portarci a riconoscere i problemi che ci sommergono. È proprio questo il primo step per un nuovo inizio, per nuovi ripensamenti sul cammino dell’umanità.
copertina Lettera Internazionale 118 Silvana Calabrese
     Si sta imponendo la necessità di sostituire alla volontà di potere la volontà di empatia.
     Alla convinzione di detenere potere corrisponde un’enorme e consolidata fragilità dell’io che viene placata dall’uso di antidepressivi e di ansiolitici. Allo stesso tempo, gli individui non avvertono la scintilla vitale e la ricercano in stimoli sempre più forti all’interno di una società anestetizzata. Soffriamo di malattie dell’anima: ne allontaniamo i sintomi assumendo farmaci dell’anima. La vera cura risiede nell’affrontare i meandri dell’animo con un’introspezione vigile.
     La nostra missione non è quella di cambiare il mondo nella sua immensità, ciò non solo è velleitario ma anche sbagliato. L’unica via percorribile ce la segnala Epitteto, il quale insegnava che si deve cambiare il mondo quotidianamente a partire dalle proprie singole azioni.
     Numerosi sono gli elementi che occorre ripensare e riconsiderare alla luce degli errori commessi e di una visione prospettica da coltivare. Ad esempio, la felicità che ci affanniamo a ricercare ed inseguire come fine della nostra vita e del nostro agire; quella stessa felicità che sovente rischia di non essere il risultato della nostra arte di vivere, bensì il prodotto di fattori esterni, non è un punto di approdo. È uno stato d’animo temporaneo di cui gioire secondo la logica del carpe diem. Non è perenne e non si ripete a intervalli regolari. 
     La recensione è apparsa su «Lettera Internazionale», Rivista trimestrale europea, Edizione italiana, IV trimestre 2013 N. 118, Arti Grafiche La Moderna, Roma 2014, p. 56.

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