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giovedì 3 maggio 2018

Tra medico e paziente chi è il dottore vero?

Tra noi due il dottore sono io!
Dott.ssa Silvana Calabrese La scorribanda legale
Ce lo siamo sentiti dire una volta di troppo. È la frase che fa perdere stima nel medico che si ha di fronte. Il rapporto tra medico e paziente infrange spesso la soglia di civiltà e conduce il dottore a perdere la faccia. Il contesto cui mi sto riferendo è quello in cui ci si reca dal medico, sia esso generico o specialista, per un consulto o per sottoporsi a una cura. Esistono tante categorie di pazienti: quelli che paiono estranei rispetto alla propria salute; quelli che temono l’instaurarsi di un dialogo col medico; quelli che si informano quanto basta e quelli che hanno un’inclinazione particolare verso l’informazione. Quest’ultimo è il paziente zelante, ritenuto fastidioso dalla maggior parte dei medici. C’è da precisare che il paziente scrupoloso non si mostra saccente, presuntuoso o arrogante. Ha solo il desiderio di sapere ed informarsi sulla propria situazione clinica e sulla prassi del trattamento cui è in procinto di sottoporsi. Il corpo è suo come suo è il dovere di conoscerne lo stato di salute al fine di preservarlo. Presentata così la situazione pare seguire il rettilineo del buon senso. Inoltre alcuni casi di malasanità possono essere evitati proprio con un’adeguata informazione. Il dialogo col dottore, ben lungi dall’essere una chiacchierata tra amici, serve a far emergere particolari situazioni anatomiche o fisiologiche del paziente che possono orientare al meglio l’esecuzione del trattamento terapeutico.
Ma oggigiorno vi sono troppi medici che non tollerano la meticolosità dei propri pazienti e vivono così male il fatto che essi si siano informati, e che desiderino saperne di più, da dare sfogo a esplosioni di una rabbia che sembra repressa da anni. È in quel momento che ci si sente dire a pieni polmoni e con un mutamento cromatico, tendente al rosso acceso, che interessa il viso: «Tra noi due il medico sono io. Vuole insegnarmi come fare il mio lavoro? Vuole prendere il mio posto?». Può variare il lessico, ma non il significato. Non è un buon segno udire tali affermazioni da qualcuno che indossa il camice bianco. È l’espressione della perdita del controllo, ma anche il sintomo di un male oscuro e profondo. È segno di maleducazione, ma anche di forte insicurezza e scarsa autostima. Non c’è ragione di lasciarsi andare in un modo tanto sgradevole. E non è fondato il timore che un paziente prenda il vostro posto, in primo luogo perché gli occorrerebbero anni di studio per giungere a ottenere titolo e abilitazione. Si è rivolto a voi perché voleva tutelare la propria salute sulla quale esercita piena titolarità di diritto, non dimenticatelo! 
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 14 luglio 2016, p. 24. 

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