Translate in your language

martedì 5 settembre 2017

Che stress quel prelievo nel Policlinico di Bari

Una mattinata trascorsa nella zona prelievi del Policlinico
     Nel condividere con voi le vicende alle quali ho assistito durante le ore trascorse nella zona prelievi del Policlinico di Bari, vorrei immaginare di parlare al mio diario. È un escamotage utile a stemperare eventuali note di aggressività. Caro diario, quattro mesi fa ho prenotato degli esami ematochimici di routine al CUP del Policlinico. I medici ospedalieri mi avevano persuasa a scegliere la loro struttura per il check-up annuale. Ho deciso di dare loro ascolto ignara di una palese reticenza ed eccomi qui.
Che stress quel prelievo nel Policlinico di Bari
     Non essendo noto l’esatto orario di inizio, nel corridoio ho scorto una folta schiera di pazienti. Si procede secondo l’ordine di arrivo, ci si munisce del numero, si firma il modulo del consenso informato e del trattamento dei dati personali e si attende in un ambiente chiassoso la cui atmosfera a tratti alterni ha l’odore del fumo di sigaretta. Deve essere un’impressione poiché la legge lo vieta. La sala d’aspetto è capiente, 4 metri per 4 circa! Dopo due ore giunge il mio turno e mi accorgo che la riservatezza è cosa rara durante il prelievo perché la porta viene spesso aperta. Non è altrettanto raro incorrere in qualcuno in preda ad un forte calo di zuccheri accentuato dalla tensione profusa da quel luogo. È stato chiesto alle infermiere di modificare le modalità operative in modo da rendere fattibili dei semplici esami, ma loro sono meri dipendenti pertanto privi della facoltà di risolvere la situazione o ponderare una soluzione. I pazienti dovrebbero chiedere udienza al dirigente sanitario, ma credete sia facile? Accade spesso che nella gerarchia della sanità la base non dialoghi col vertice. La diagnosi di questo problema è da ricercare nel principio di autorità, bizzarro ma reale, dal quale scaturisce lo stato di agente. Si tratta della condizione di appartenenza ad una struttura gerarchica che solleva l’individuo dal senso di coscienza e responsabilità (presenti invece nello stato di autonomia). Di conseguenza solo l’autorità è responsabile dei suoi atti guidati dagli ordini impartiti (cit. Lungo i sentieri dell’identità p. 146). Vorrei dare un consiglio organizzativo al nosocomio prendendo spunto dall’organizzazione dell’Ospedale pediatrico Giovanni XXIII e dal Di Venere, entrambi ospedali di Bari. Bisogna bandire l’ordine di arrivo ed assegnare degli orari ai pazienti. Questo sarebbe già sufficiente ad evitare accavallamenti. Organizzarsi vuol dire distribuire il carico di lavoro entro tempi ben scanditi. Ed è un sistema valido nella sanità pubblica quanto nella vita privata, sia per gli scolari che per gli adulti. Inoltre è un rimedio contro il temuto stress quotidiano. 
     Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 13 giugno 2013, p. 24.

Nessun commento:

Posta un commento