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domenica 1 novembre 2015

Il mio omaggio alla vittima delle baronie universitarie Norman Zarcone

     Quando si transita o si permane nel mondo accademico è come entrare a far parte di una nuova famiglia, la famiglia culturale. E quando muore un fratello culturale non si può restare indifferenti. Norman Zarcone era mio fratello.
Le circostanze del suo trapasso, da suicida lanciandosi dal settimo piano della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, gettano nuova luce sul sordido mondo delle baronie universitarie. Aveva 27 anni ed era il 13.9.2010, tre mesi dopo avrebbe concluso un Dottorato di Ricerca senza borsa di studio che equivale a fare ricerca per pura passione e spirito di abnegazione. L’affermazione del Rettore ha dell’assurdo: egli nega l’evidenza di un nesso tra suicidio e parentopoli. I docenti gli avevano detto che non ci sarebbe stato un futuro per lui in Ateneo. È vero, gli accademici di qualunque ordine e grado hanno l’abitudine di proferire queste testuali parole anche quando non sono interrogati in merito. E il modo in cui lo dicono emana sadismo e non dispiacere. C’è crisi e mancano i concorsi, eppure il sistema baronale è più vigoroso che mai. Così questi signori ricoprono il ruolo di «demotivatori istituzionali». Il gesto estremo di Norman è l’espressione di rabbia contro chi ruba il futuro ai giovani capaci e meritevoli, ma è una rabbia rassegnata perché la sua dipartita rischia di essere vana. I baroni e coloro i quali voltano il capo, per non guardare un sistema purulento, sono anch’essi meritevoli: meritano di essere importunati (legittimamente) per le loro colpe. Ogni giorno si deve ricordare loro che alimentano una grave infezione che ha incancrenito la società.
Eppure le parole dei professori inducono a maturare nuove riflessioni. Non c’è futuro con un Dottorato (che ricordiamo essere il livello più alto degli studi universitari se conseguito con merito), ma mille promesse professionali aleggiano sugli onerosi master. Economicamente gravosi per gli studenti, ma utili a incamerare utili per i docenti! Cerchiamo di essere seri: esistono opportunità lavorative o no?
Al padre Claudio, affranto per il disinteresse riservatogli, rivolgo una rassicurazione: sono con lei, intenzionata più che mai a combattere con la quarta arma della scherma, la penna. Mi scaglio con tutte le mie forze contro un sistema ed una mentalità affette da un male che pare incurabile.
E per concludere credo che le università italiane rappresentino la vergogna del nostro paese poiché non sono più culle della formazione, bensì incubatrici di mafia.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 4 ottobre 2015, p. 20.

L'articolo fa parte della sezione "I cari estinti", ma anche della famigerata sezione "Università".

2 commenti:

  1. Quanto ho scritto non è che un solletico per le istituzioni e rappresenta un blando conforto per chi vive il dolore della perdita. Vorrei essere in grado di fare di più, di scuotere impetuosamente un sistema marcio al quale in pochi hanno la forza di opporsi.

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  2. Mentre tutti se la spassavano durante queste frenetiche vacanze di Natale, qualcuno piangeva.
    Tutta colpa di un sistema malato protetto dall'omertà di chi non si oppone.

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