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lunedì 19 marzo 2018

Incredibile, tutti scrivono e nessuno legge

E il naufragar m’è dolce nell’autoreferenzialità

«Non è possibile non comunicare». È l’assunto elaborato da Paul Watzlawick, eminente esponente della Scuola di Palo Alto, in California. In effetti la comunicazione è un bisogno improcrastinabile degli individui così come la comunicazione non verbale occupa nelle nostre vite una percentuale maggiore rispetto a quella verbale.
Leggere scrivere libri Silvana Calabrese da piccola e laurea - Blog
Oggi però stiamo assistendo ad un’alterazione di questo bisogno umano. Si parla troppo e si ascolta poco e male. Si scrive troppo e non si legge per niente. Come siamo approdati ad una simile solitudine? Guardandoci intorno possiamo scoprire gli elementi determinanti di questa nuova realtà. La tecnologia, che tanto progredisce e tante opportunità di impiego crea, tende ad isolarci. Completamente soli al cospetto del monitor, chattiamo nella completa illusione che sia una vera conversazione. Il web 2.0 consente di essere protagonisti della rete inserendovi contenuti che desideriamo raccolgano migliaia di visualizzazioni. L’editoria odierna ha cambiato la sua mission orientandola verso la realizzazione di introiti. Le case editrici hanno captato l’esigenza dei singoli di veder pubblicato almeno un libro nella propria vita ed han deciso di rispondere a tale desiderio mediante pubblicazioni a titolo oneroso. Si pubblica qualsiasi libro perché ciascuno desidera affermare «ho scritto un libro!». La speculazione del mondo editoriale ha coniato persino il termine self publishing, sminuendo per sempre l’importanza dei contenuti dei libri ed il valore della lettura. Si viene a creare una chiusura che ben si coniuga con l’autoreferenzialità (si tratta del far riferimento solo a se stessi).
Il danno maggiore lo ha causato la televisione con l’overdose di spot pubblicitari, l’abbondanza di informazioni e l’inondazione di marketing che non fanno altro che relegarci nella condizione di spettatori di massa e non più partecipi delle esperienze dirette. Il presunto dono offerto dall’evoluzione dei media e dal progresso della tecnologia ha avuto un unico effetto, un effetto proibitivo.
E allora viene spontaneo fare eco all’ultimo verso de L’infinito, l’idillio leopardiano che evoca il mare dell’infinità spaziale e temporale in cui è dolce perdersi, venir meno, analogamente al lasciarsi sopraffare dal mare in un naufragio. Ed è con un flebile sospiro che potremmo dire… e il naufragar m’è dolce nell’autoreferenzialità.  
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 15 marzo 2015, p. 16.

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