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martedì 19 giugno 2018

Coltan, pc e telefonini. Siamo noi i mandanti delle più atroci brutalità

Silvana Calabrese Blog La Scorribanda Legale
Nel ’400 i grandi esploratori con coraggio varcarono le Colonne d’Ercole ed estesero i confini del mondo conosciuto. Oggi tutti noi abbiamo contribuito a ridurre i limiti della conoscenza agli stipiti delle nostre porte. Non ci interroghiamo mai su quanto accade oltre la soglia di casa perché è come se non ci riguardasse. D’altronde siamo in un paese sviluppato e nonostante la disoccupazione stia disegnando un’iperbole viviamo in un contesto migliore rispetto a chi si trova nei paesi in via di sviluppo (Terzo e Quarto Mondo). Tuttavia, in un mondo globalizzato ed interconnesso, le nostre decisioni consumistiche hanno effetti prorompenti sulle zone sottosviluppate e sui loro oriundi. Studiamo lo sfruttamento minorile o la violazione dei diritti umani, ma è un’analisi sterile e del tutto priva di comprensione. Come possiamo chiedere ai politici di immedesimarsi nelle condizioni dei più umili se noi per primi non siamo capaci di farlo? Questa divagazione beve ma necessaria cede il posto ad un argomento di bruciante attualità: il turboconsumismo legato agli oggetti tecnologici. Il primo in lizza è lo smartphone. Ne apprezziamo le funzioni, ma non abbiamo la più pallida idea delle sue componenti e della loro provenienza. Anche i media tacciono, anzi invitano a scaricare l’ultima applicazione. Il Coltan (contrazione di columbite–tentalite) è un minerale nero essenziale per la realizzazione di dispositivi elettronici tra cui cellulari, pc, televisori, auto. Si tratta di una risorsa ferocemente ricercata e per questo i giacimenti sono sfruttati in diverse parti del globo. Ma è in Congo che tale frenesia ha effetti nefasti poiché dagli anni ’90 sussistono dei conflitti etnici ed i proventi dello sfruttamento delle risorse di Coltan vengono impiegati per l’acquisto di armi. L’ONU ha denunciato la situazione nel 2003, ma l’estenuante estrazione del minerale prosegue nella violenza più disumana causando anche danni irreversibili all’ambiente. Non diversa è la storia dei diamanti di sangue, estratti in zone di guerra e venduti clandestinamente per finanziare i conflitti. Le multinazionali proseguono sordidamente e noi vegetiamo incuranti delle violenze cui uomini, donne e bambini sono soggetti quotidianamente perché costretti a scavare e a toccare a mani nude il leggermente radioattivo Coltan. C’è chi auspica una normativa che renda tracciabile il percorso del minerale, ma il nostro egoismo non può nascondersi dietro una legge. Siamo noi gli acquirenti delle materie finite, oggetti ultratecnologici di cui dotiamo anche i bambini, e dovremmo vergognarci perché siamo noi i mandanti delle più atroci brutalità. 
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 21 agosto 2014, p. 16.

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