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domenica 8 maggio 2016

Per un’etica della comunicazione

     Recensione: Francesco Bellino, Per un’etica della comunicazione, Bruno Mondadori, Milano 2010, pp. 216.
Ispirato da Don Chisciotte, personaggio che per antonomasia filtra la realtà attraverso l’atmosfera fantastica dei romanzi cavallereschi, Francesco Bellino ci conduce attraverso la metamorfosi del mondo dell’immagine spiegandoci come l’uomo moderno sia ormai immerso nel virtuale.
L’assunto cartesiano «la verità è il frutto dell’evidenza» aiuta a comprendere che la verità deriva dalla certezza psicologica del vedere, ma attualmente l’immagine ha preso il posto del mondo. Tendiamo ad accettare l’immagine del mondo trasmessa dal medium televisivo senza interrogarci su come esso, il mondo circostante, sia realmente. Solo un pubblico colto è in grado di processare le informazioni, mentre uno impreparato le subisce o non le recepisce affatto.
V’è una finezza nel titolo ed è espressa dal «per» che sta ad indicare il tentativo di legittimare la possibilità di un’etica della comunicazione. Significa che non diamo per scontate ed acquisite la possibilità e l’esistenza di tale etica che non riguarda soltanto contenuti e processi di comunicazione, ma anche le politiche di divulgazione, la proprietà e il controllo dei media.
L’autore cita De Kerckhove con la legge della realtà decrescente, che decresce fino a svanire del tutto, inoltre riporta la definizione data da Noam Chomsky dei filtri attraverso cui passano le notizie.
L’inflazione televisiva produce un sovraccarico sensoriale che a sua volta espone ad una desensibilizzazione unita a una drastica contrazione della nostra capacità di scegliere, riconoscere, valutare, discernere, effettuare esperienze dirette. La comodità offerta dai mezzi di comunicazione di massa, e più recentemente dal web, viene fraintesa per libertà. Essa è illusoria poiché effetto di un immaginario illusorio. Bellino illustra uno scenario che si è inesorabilmente evoluto fino ad avanzare l’ipotesi della «scomparsa dell’infanzia» ai danni degli spettatori più giovani.
Numerose teorie, osservazioni e note critiche esposte dall’autore, conducono ad un approdo, la formulazione dei postulati che la comunicazione deve possedere ed attuare per dirsi etica: libertà, reciprocità e verità. L’informazione deve essere vettore di quest’ultimo elemento perché se al tempo degli scambi epistolari mentendo si ingannava una sola persona, con i mass media si inganna il mondo intero.
L’opera si presenta complessa ed articolata, tratta tematiche attuali con radici storico-filosofiche, tuttavia la lettura risulta lineare e l’attenzione del lettore sembra non essere destinata a subire inflessioni, registrando il suo picco al cospetto di un monito: una corretta comunicazione può veicolare anche contenuti non etici.
L’iter sugli aspetti e sugli effetti della comunicazione di massa prosegue addentrandosi nelle forme applicative della deontologia professionale dei comunicatori. Ciò avviene perché è opportuno avere una visione chiara dei principi di legge che regolano le professioni legate all’informazione. Di particolare interesse è la dialettica generata dalla rilettura dell’art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana. Sancisce la libertà di manifestare il pensiero ma, come ravvisa anche la sentenza decalogo del 1984, entro il limite del buon costume il cui senso è mutato dal 1948, anno in cui la stampa era il maggior mezzo di comunicazione.
Si giunge alla falsa familiarità del web 2.0 e delle connessioni ventiquattro ore su ventiquattro che sembrano volerci privare della solitudine con la promessa che qualcuno sarà sempre virtualmente presente. È sorta una specie di vita on-line che provoca una dipendenza totalizzante dallo stato di connessione e il solo timore di non essere connessi determina un senso di profonda debilitazione. Uno sguardo pronto a cogliere i disagi che si celano dietro un comportamento tipicamente conformista, induce a ritenere che il bisogno di una presenza assidua sulle piattaforme virtuali potrebbe derivare da un problema paradossale: esserci, nel mondo, riuscendo a sentirlo. Connettersi sarebbe dunque un tentativo di esserci lasciando una traccia del proprio passaggio.
Intuendo queste profonde problematiche identitarie, Per un’etica della comunicazione propone un allenamento costante a saper cogliere l’aura di ciò che ci circonda, a cercare di espandere la dimensione della coscienza comprendendone lo spessore. Se velocità e frenesia hanno minato la nostra coscienza, allora è opportuno riscoprire le origini della comunicazione, attraverso il silenzio, la parola e l’ascolto. La lettura può rivelarsi un buon metodo per realizzare l’obiettivo di ampliare la coscienza e acquisire consapevolezza della dimensione interiore. Perché la lettura è lo spazio del silenzio, l’esperienza del pensiero, la ricerca del senso.
La recensione è apparsa su «La Vallisa», Quadrimestrale di letteratura ed altro, anno XXIX, N. 88–89, Besa Editrice, Nardò (LE) 2011, pp. 174–175.

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