Da infante ero una grande appassionata del fumetto di Zio
Paperone e sognavo di possedere, o anche solo di tuffarmi, in una piscina piena
di soldi. Ero consapevole che ciò non solo non sarebbe mai accaduto, ma che non
sarebbe stato possibile per nessuno. Inoltre non è nemmeno igienico. Eppure
l’evoluzione del mondo ci porta a spostarci proprio su quell’asse che
ritenevamo impossibile. Oggi infatti è possibile nuotare o remare o approdare
sulle cosiddette isole di plastica. Nulla di idilliaco, però. Si tratta della
dislocazione di un ammasso di immondizia concentrato nel Pacifico a causa delle
intense correnti. Il Pacific Trash Vortex o Great Pacific Garbage Patch è un
concentrato di plastica che galleggia nel bel mezzo dell’oceano Pacifico. La
sua espansione è in crescita e le immagini si rivelano esaustive.
Tutto è cominciato negli anni Cinquanta (ma ne è stata data
segnalazione solo negli anni Ottanta) sotto l’effetto della corrente oceanica
denominata Vortice subtropicale del Nord Pacifico, ma i colpevoli sono gli
esseri umani.
Anche l’oceano Atlantico ha la sua isola di plastica che
irretisce tartarughe ed uccelli, i quali se ne nutrono poiché simili a meduse o
pesci e periscono per soffocamento.
Non è materiale biodegradabile e, sottoposto all’azione
delle correnti, si frantuma inquinando notevolmente i mari e investendo
l’intera catena alimentare. Tali rifiuti marini hanno un loro ciclo mortale:
essi subiscono un’abrasione costante che deriva dal vento, dal moto ondoso, dal
calore e dai raggi ultravioletti del sole. Tonnellate di plastica galleggiano
nei nostri oceani e costantemente disperdono in acqua una specie di neve, ossia
la loro stessa frammentazione.
Da dove viene questa spazzatura? Perdite di carico dalle
navi container e antiambientalista scelta di gettare i rifiuti in mare.
Denominarle isole è un eufemismo volto ad attenuare la
gravità della situazione poiché questi aggregati plastici hanno un’estensione
più simile a quella di un continente. Cercavate Atlantide e Mu? Beh, ora ci
sono!
È un fenomeno con conseguenze tossiche e cancerogene
pericolosissime, ma che non tange la nostra sensibilità. I danni arrecati
all’ambiente e alla nostra salute sono ingenti e in crescita, le opere di
sensibilizzazione numerose, ma nemmeno un cenno di risposta da una forma di
vita che si millanta intelligente, quella umana.
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