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venerdì 31 marzo 2017

Sotto la protezione di Artemide Diana

Recensione: Jacqueline Spaccini, Sotto la protezione di Artemide Diana – L’elemento pittorico nella narrativa italiana contemporanea (1975-2000), Rubettino Editore, Catanzaro 2008, pp. 341.
«Di tutte le cose sicure la più certa è il dubbio» (Bertolt Brecht). La citazione introduttiva già preannunzia un insegnamento di vita e non, come suggerisce il titolo, un mero excursus sulla presenza dell’elemento pittorico nella narrativa italiana moderna.
Il testo si rivela abbastanza complesso e di ampio respiro, ricco di esemplificazioni atte a chiarificare il rapporto esistente tra pittura e narrazione, tra parola e immagine.
L’autrice mette subito al bando ogni sorta di equivoci sancendo la differenza tra elemento pittorico, artistico ed iconico-figurativo. Non essendo possibile un’indagine completa sul connubio tra pittura e narrativa, pertanto il campo è stato circoscritto agli ultimi cinque lustri del ventesimo secolo.
Il lavoro parte da una domanda sul ruolo effettivo del quadro e del pittore all’interno di un romanzo; su quale sia il suo valore; se il suo impiego abbia una matrice allegorica; se utilizza l’artifizio della finzione, con un rapido nesso alla locuzione theatrum mundi che lega l’immaginario – in questo caso l’elemento pittorico – con il reale contesto culturale.
Al pari di un’opera allegorica un quadro si rivolge solo ad un pubblico di nicchia, ad un’élite, pur essendo accessibile ad una moltitudine di osservatori. Un dipinto cela significati e connessioni ai quali si perviene solo dopo una profonda meditazione.
Il pittore instaura un rapporto di fiducia con la sua opera, poiché essa fonde e nasconde motivazioni che svelerà solo agli studiosi tenaci. Ne è un esempio l’utilizzo di anamorfosi, l’artificio pittorico mediante il quale in una composizione si inseriscono immagini non percepibili se non osservate da un altro punto di vista. Va sottolineato che anche gli stereogrammi hanno una tecnica simile. A questo punto si rivela interessante percorrere le tappe che hanno permesso di porre in evidenza il rapporto tra pittura e letteratura, mediante una complessa articolazione di opere letterarie in cui sono rintracciabili gli elementi figurativi.
Artemisia di Anna Banti, ispirata alla figura di Artemisia Gentileschi, prima vera donna artista italiana, percorre il viaggio introspettivo con tono affabulatorio, celando una evidente identificazione. L’io storico di Artemisia eclissa e protegge l’io autoriale che si mimetizza con una reticente biografia protesa verso l’autobiografia. La Banti prende in prestito – in segreto – immagini del suo vissuto e le plasma nell’opera, ritraendo il personaggio con estrema dedizione quasi fino all’analisi, con vera empatia, nonostante alcuni secoli di distanza. Siamo di fronte a una sorta di proiezione spazio-temporale, un anacronistico rapporto di fiducia mista a sintonia tra autrice e pittrice.
Nel 1991 viene alla luce Sogno a Herrenberg, l’unica opera di Giuliana Morandini in cui il protagonista è un pittore, Jörg Ratgeb. Anche questo romanzo è proiettato in un arco temporale remoto, più precisamente nel XVI secolo. Al pari dei giovani intellettuali contemporanei, anche l’artista alemanno Ratgeb compì il suo viaggio in Italia per completare la sua formazione intellettuale e rafforzare il suo già vigoroso punto di vista: il pittore deve mostrare i quadri piuttosto che parlarne, poiché un dipinto è di per sé più che eloquente.
Cavaliere senza destino, opera di Marisa Volpi, comprende due racconti ispirati a Géricault e Böcklin. Nel primo, a rendere allettante la storia, c’è il ricorso ai flash-back tra tappe, svolte ed una ricostruzione psicologica. Nel secondo, Böcklin parla in prima persona, ma non per molto. La rievocazione del vissuto personale ha la funzione di avviare la narrazione e rendere partecipe il lettore. È inequivocabile l’assonanza tra gli stati d’animo del protagonista e la natura con le sue condizioni atmosferiche e l’alternarsi delle stagioni.
Gabriele è l’ultimo romanzo di Giancarlo Marmori. La storia viene collocata nel 1850 e ha inizio con la rappresentazione viva e immediata di alcune rose selvatiche, vero esempio di ipotiposi che si ripete con frequenza nel romanzo che sin dall’inizio appare ricco di immagini pittoriche.
Le pietre volanti, di Luigi Malerba, ha per protagonista la figura di un pittore immaginario, ma il titolo in sé è rivelatore perchè rimanda ad un’opera del pittore italiano Fabrizio Clerici. I riferimenti biografici appaiono enigmatici, a tratti fittizi e premeditati, proiettati verso la visione di un mondo inteso come luogo di finzioni, affermazione che si scontra con l’immagine del quadro come finestra aperta sul mondo, elaborata già nel XV secolo da Leon Battista Alberti. Per l’autore il pennello è uno strumento che delinea inganni e la stessa pittura è illusione, finzione, mentre viene messo in discussione il concetto stesso di verità. Diviene necessario ridefinire le caratteristiche di base del modello biografico: narrazione cronologica che escluda il montaggio delle scene, che si basi su eventi e persone realmente accaduti/esistiti e la cui voce narrante sia neutra.
Nel 1998 il mercato editoriale si gloria del contributo di Vincenzo Consolo, autore de Lo Spasimo di Palermo, che richiama il nome di una delle opere meno note e di difficile lettura di Raffaello Sanzio. A fare da centro gravitazionale vi è la certezza del dolore, appunto spasimo, sempre ben definita. L’autore inoltre confessa una realtà già oggetto di sospetto: gli scrittori, volenti o nolenti, rielaborano il proprio vissuto nelle opere letterarie.
Con Il Ritratto Ovale Edgar Allan Poe si aggiudica l’appellativo di pioniere del giallo moderno di matrice iconica, in cui l’inchiesta racchiude elementi fantastici come la donna effigiata, custode di  un segreto.
In Todo modo e Il cavaliere e la morte Sciascia sostiene che il giallo risvegli lo spirito investigativo. Il lettore avverte l’atmosfera di sfida e tensione che gli impedirà di abbandonarsi ad una lettura passiva, ma lo indirizzerà verso la ricerca degli elementi metaletterari, quelli nascosti in un testo e che lo connettono ad altri generi letterari. Sciascia ci prospetta il romanzo poliziesco come un scena del delitto costellata da elementi probatori e indizi disposti in una fitta trama. Molto spesso la chiave della verità è ben visibile poiché impressa in un dipinto. Lo sguardo lo carpisce immediatamente; è la formulazione del senso che tarda a completare la seriosi.
Con Ai margini del caos di Franco Ricciardiello il viaggio intrapreso attraverso l’affascinante mondo dell’elemento pittorico ci porta nel campo della psichiatria. È la sindrome di Stendhal, secondo la quale il contatto estetico con un quadro risveglia in un individuo contenuti inconsci fino a generare sintomi quali turbe del pensiero, devianza della percezione della realtà, crisi di panico e senso di angoscia.
Nel tour pittorico-narrativo in cui si colloca Sogni di sogni di Antonio Tabucchi non manca la lezione freudiana sui sogni, in particolare quando si sogna un quadro. L’attività onirica rappresenta un portale con vista sul subconscio, ben espressa dalla metafora dello specchio deformato che da un lato riflette, ma dall’altro induce a interpretare accuratamente le immagini. Allo stesso modo un dipinto ingloba una trama di elementi variegati, volti a comporre una scena che non si può cogliere nella sua totalità. L’unità originaria è divisa in piccoli tasselli camaleontici da percepire, ricomporre ed interpretare.
Dopo aver ripercorso cinque lustri di convivenza tra narrativa italiana ed elemento figurativo, era inevitabile una conclusione che fa spazio alla giurisprudenza. In osservanza dell’articolo 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio italiano si estrapola la definizione di museo: «struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio». Qui si salvano beni che andrebbero persi o distrutti; si preservano le opere artistiche come impareggiabile patrimonio culturale e strumento di comunicazione generazionale che realizza la volontà di tramandare la memoria artistica delle singole nazioni. Ciascuna opera acquista un valore sopranazionale unito al carattere universale che si propaga dalle sale dei musei.
L’autrice, soffermandosi ampiamente sui testi presi in esame, ne traccia le linee essenziali in un percorso di analisi accurata, volta alla ricerca di una innegabile simbiosi tra l’espressione letteraria e la traduzione pittorica, già annunciata con estrema semplicità da Orazio: ut pictura poesis
La recensione è apparsa su «La Nuova Ricerca», Rivista del Dipartimento di Linguistica, Letteratura e Filologia Moderna, anno XIX, N. 19, Fabrizio Serra Editore, Pisa–Roma 2010, pp. 283–285.

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