Recensione: Jacqueline Spaccini, Sotto la protezione di Artemide Diana – L’elemento
pittorico nella narrativa italiana contemporanea (1975-2000), Rubettino
Editore, Catanzaro 2008, pp. 341.
«Di tutte le
cose sicure la più certa è il dubbio» (Bertolt Brecht). La citazione
introduttiva già preannunzia un insegnamento di vita e non, come suggerisce il
titolo, un mero excursus sulla presenza dell’elemento pittorico nella narrativa
italiana moderna.
Il testo si
rivela abbastanza complesso e di ampio respiro, ricco di esemplificazioni atte
a chiarificare il rapporto esistente tra pittura e narrazione, tra parola e
immagine.
L’autrice
mette subito al bando ogni sorta di equivoci sancendo la differenza tra
elemento pittorico, artistico ed iconico-figurativo. Non essendo possibile un’indagine completa sul
connubio tra pittura e narrativa, pertanto il campo è stato circoscritto agli
ultimi cinque lustri del ventesimo secolo.
Il lavoro parte
da una domanda sul ruolo effettivo del quadro e del pittore all’interno di un
romanzo; su quale sia il suo valore; se il suo impiego abbia una matrice
allegorica; se utilizza l’artifizio della finzione, con un rapido nesso alla
locuzione theatrum mundi che lega
l’immaginario – in questo caso l’elemento pittorico – con il reale contesto
culturale.
Al pari di
un’opera allegorica un quadro si rivolge solo ad un pubblico di nicchia, ad
un’élite, pur essendo accessibile ad una moltitudine di osservatori. Un dipinto
cela significati e connessioni ai quali si perviene solo dopo una profonda
meditazione.
Il pittore
instaura un rapporto di fiducia con la sua opera, poiché essa fonde e nasconde
motivazioni che svelerà solo agli studiosi tenaci. Ne è un esempio l’utilizzo
di anamorfosi, l’artificio pittorico mediante il quale in una composizione si
inseriscono immagini non percepibili se non osservate da un altro punto di
vista. Va sottolineato che anche gli stereogrammi hanno una tecnica simile. A
questo punto si rivela interessante percorrere le tappe che hanno permesso di
porre in evidenza il rapporto tra pittura e letteratura, mediante una complessa
articolazione di opere letterarie in cui sono rintracciabili gli elementi
figurativi.
Artemisia di Anna Banti, ispirata alla
figura di Artemisia Gentileschi, prima vera donna artista italiana, percorre il
viaggio introspettivo con tono affabulatorio, celando una evidente identificazione.
L’io storico di Artemisia eclissa e
protegge l’io autoriale che si
mimetizza con una reticente biografia protesa verso l’autobiografia. La Banti
prende in prestito – in segreto – immagini del suo vissuto e le plasma
nell’opera, ritraendo il personaggio con estrema dedizione quasi fino
all’analisi, con vera empatia, nonostante alcuni secoli di distanza. Siamo di
fronte a una sorta di proiezione spazio-temporale, un anacronistico rapporto di
fiducia mista a sintonia tra autrice e pittrice.
Nel 1991 viene
alla luce Sogno a Herrenberg, l’unica
opera di Giuliana Morandini in cui il protagonista è un pittore, Jörg Ratgeb.
Anche questo romanzo è proiettato in un arco temporale remoto, più precisamente
nel XVI secolo. Al pari dei giovani intellettuali contemporanei, anche
l’artista alemanno Ratgeb compì il suo viaggio in Italia per completare la sua
formazione intellettuale e rafforzare il suo già vigoroso punto di vista: il
pittore deve mostrare i quadri piuttosto che parlarne, poiché un dipinto è di
per sé più che eloquente.
Cavaliere senza destino, opera di Marisa
Volpi, comprende due racconti ispirati a Géricault e Böcklin. Nel primo, a rendere
allettante la storia, c’è il ricorso ai flash-back tra tappe, svolte ed una
ricostruzione psicologica. Nel secondo, Böcklin parla in prima persona, ma non
per molto. La rievocazione del vissuto personale ha la funzione di avviare la
narrazione e rendere partecipe il lettore. È inequivocabile l’assonanza tra gli
stati d’animo del protagonista e la natura con le sue condizioni atmosferiche e
l’alternarsi delle stagioni.
Gabriele è l’ultimo romanzo di Giancarlo
Marmori. La storia viene collocata nel 1850 e ha inizio con la rappresentazione
viva e immediata di alcune rose selvatiche, vero esempio di ipotiposi che si
ripete con frequenza nel romanzo che sin dall’inizio appare ricco di immagini
pittoriche.
Le pietre volanti, di Luigi Malerba, ha
per protagonista la figura di un pittore immaginario, ma il titolo in sé è
rivelatore perchè rimanda ad un’opera del pittore italiano Fabrizio Clerici. I
riferimenti biografici appaiono enigmatici, a tratti fittizi e premeditati,
proiettati verso la visione di un mondo inteso come luogo di finzioni,
affermazione che si scontra con l’immagine del quadro come finestra aperta sul
mondo, elaborata già nel XV secolo da Leon Battista Alberti. Per l’autore il
pennello è uno strumento che delinea inganni e la stessa pittura è illusione,
finzione, mentre viene messo in discussione il concetto stesso di verità.
Diviene necessario ridefinire le caratteristiche di base del modello
biografico: narrazione cronologica che escluda il montaggio delle scene, che si
basi su eventi e persone realmente accaduti/esistiti e la cui voce narrante sia
neutra.
Nel 1998 il
mercato editoriale si gloria del contributo di Vincenzo Consolo, autore de Lo Spasimo di Palermo, che richiama il
nome di una delle opere meno note e di difficile lettura di Raffaello Sanzio. A
fare da centro gravitazionale vi è la certezza del dolore, appunto spasimo,
sempre ben definita. L’autore inoltre confessa una realtà già oggetto di
sospetto: gli scrittori, volenti o nolenti, rielaborano il proprio vissuto
nelle opere letterarie.
Con Il Ritratto Ovale Edgar Allan Poe si
aggiudica l’appellativo di pioniere del giallo moderno di matrice iconica, in
cui l’inchiesta racchiude elementi fantastici come la donna effigiata, custode
di un segreto.
In Todo modo e Il cavaliere e la morte Sciascia sostiene che il giallo risvegli lo
spirito investigativo. Il lettore avverte l’atmosfera di sfida e tensione che
gli impedirà di abbandonarsi ad una lettura passiva, ma lo indirizzerà verso la
ricerca degli elementi metaletterari, quelli nascosti in un testo e che lo
connettono ad altri generi letterari. Sciascia ci prospetta il romanzo
poliziesco come un scena del delitto costellata da elementi probatori e indizi
disposti in una fitta trama. Molto spesso la chiave della verità è ben visibile
poiché impressa in un dipinto. Lo sguardo lo carpisce immediatamente; è la
formulazione del senso che tarda a completare la seriosi.
Con Ai margini del caos di Franco
Ricciardiello il viaggio intrapreso attraverso l’affascinante mondo
dell’elemento pittorico ci porta nel campo della psichiatria. È la sindrome di
Stendhal, secondo la quale il contatto estetico con un quadro risveglia in un
individuo contenuti inconsci fino a generare sintomi quali turbe del pensiero,
devianza della percezione della realtà, crisi di panico e senso di angoscia.
Nel tour
pittorico-narrativo in cui si colloca Sogni
di sogni di Antonio Tabucchi non manca la lezione freudiana sui sogni, in
particolare quando si sogna un quadro. L’attività onirica rappresenta un portale
con vista sul subconscio, ben espressa dalla metafora dello specchio deformato che
da un lato riflette, ma dall’altro induce a interpretare accuratamente le
immagini. Allo stesso modo un dipinto ingloba una trama di elementi variegati,
volti a comporre una scena che non si può cogliere nella sua totalità. L’unità
originaria è divisa in piccoli tasselli camaleontici da percepire, ricomporre
ed interpretare.
Dopo aver
ripercorso cinque lustri di convivenza tra narrativa italiana ed elemento
figurativo, era inevitabile una conclusione che fa spazio alla giurisprudenza. In
osservanza dell’articolo 101 del Codice
dei beni culturali e del paesaggio italiano si estrapola la definizione di
museo: «struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni
culturali per finalità di educazione e di studio». Qui si salvano beni che
andrebbero persi o distrutti; si preservano le opere artistiche come
impareggiabile patrimonio culturale e strumento di comunicazione generazionale che
realizza la volontà di tramandare la memoria artistica delle singole nazioni.
Ciascuna opera acquista un valore sopranazionale unito al carattere universale
che si propaga dalle sale dei musei.
L’autrice,
soffermandosi ampiamente sui testi presi in esame, ne traccia le linee
essenziali in un percorso di analisi accurata, volta alla ricerca di una
innegabile simbiosi tra l’espressione letteraria e la traduzione pittorica, già
annunciata con estrema semplicità da Orazio: ut pictura poesis.
La recensione è apparsa su «La Nuova Ricerca»,
Rivista del Dipartimento di Linguistica, Letteratura e Filologia Moderna, anno
XIX, N. 19, Fabrizio Serra Editore, Pisa–Roma 2010, pp. 283–285.
Grazie.
RispondiEliminaJacqueline Spaccini
Di nulla, complimenti per l'opera.
Elimina