Non v’è ombra
di errore in quanto scritto poiché sono giorni mostruosi, quelli odierni, in
cui il paradosso è di casa. Esistono radici storiche in grado di spiegare il
declino del nostro paese, ma noi le ignoriamo perché auto lobotomizzati dalla
sempre più diffusa «sindrome del libro vergine o intonso». Questo spiega come
mai siamo all’oscuro del fatto che all’alba dell’Unità il paese si presentava
altamente frammentato sotto molteplici aspetti; così come non sappiamo che nei
due conflitti mondiali l’Italia non era interventista per vocazione, ma
dimostrò opportunismo sia quando abbandonò l’Alleanza, optò per la neutralità e
poi si unì all’Intesa, che quando voltò le spalle all’Asse firmando
l’armistizio con gli Alleati. Sia pur in maniera reticente, i manuali di storia
concedono qualche indiscrezione sulla debolezza caratteriale dell’Italia.
Viviamo una crisi
economica fittizia, trattasi di crisi della mentalità: piagnucoliamo per il
tetto di spesa dei libri di testo e ci mettiamo in coda nei negozi di capi
griffati.
Ci affligge
un indice di vecchiaia in impennata sotto il quale soccombono i giovani, le
pedine del ricambio generazionale, che mai giocheranno le loro mosse in
condizioni di perenne immortalità degli anziani lavoratori. Negli States i
giovani Scout vendono biscotti a chiunque con successo e i bambini allestiscono
il caratteristico banchetto delle limonate cominciando a comprendere il valore
del danaro e del lavoro. In Italia micro imprese simili non possono attecchire,
è troppo ostico incontrare il favore o la comprensione di uno stormo di consumatori
il cui amore sconfinato è rivolto verso gli abiti firmati o l’ennesimo
cellulare intelligente.
Con
l’atteggiamento di un pargoletto dispettoso non ci proviamo nemmeno a fare la
raccolta differenziata o a spegnere la luce superflua a casa e sul posto di
lavoro, che il pianeta crepi! Siamo inguaribilmente incapaci di assumerci le
nostre responsabilità e sicuramente affetti da una forma di atrofia mentale che
paralizza ogni possibile tentativo di cambiare lo status quo a partire dalle
singole azioni quotidiane. Abbiamo imparato ad assecondare il tormentone «I
giovani devono lasciare l’Italia e cercare la realizzazione altrove» senza
maturare la cognizione che queste parole rappresentano il sanguinoso fallimento
dell’intero paese e dei suoi abitanti, tutti. Giunti ai giorni «mostri», la
locuzione «Bel Paese» assume automaticamente un significato sarcastico.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 1 dicembre 2013, p. 20.
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