Nel ’400 i
grandi esploratori con coraggio varcarono le Colonne d’Ercole ed estesero i
confini del mondo conosciuto. Oggi tutti noi abbiamo contribuito a ridurre i
limiti della conoscenza agli stipiti delle nostre porte. Non ci interroghiamo
mai su quanto accade oltre la soglia di casa perché è come se non ci
riguardasse. D’altronde siamo in un paese sviluppato e nonostante la
disoccupazione stia disegnando un’iperbole viviamo in un contesto migliore
rispetto a chi si trova nei paesi in via di sviluppo (Terzo e Quarto Mondo).
Tuttavia, in un mondo globalizzato ed interconnesso, le nostre decisioni
consumistiche hanno effetti prorompenti sulle zone sottosviluppate e sui loro
oriundi. Studiamo lo sfruttamento minorile o la violazione dei diritti umani,
ma è un’analisi sterile e del tutto priva di comprensione. Come possiamo
chiedere ai politici di immedesimarsi nelle condizioni dei più umili se noi per
primi non siamo capaci di farlo? Questa divagazione beve ma necessaria cede il
posto ad un argomento di bruciante attualità: il turboconsumismo legato agli
oggetti tecnologici. Il primo in lizza è lo smartphone. Ne apprezziamo le
funzioni, ma non abbiamo la più pallida idea delle sue componenti e della loro
provenienza. Anche i media tacciono, anzi invitano a scaricare l’ultima
applicazione. Il Coltan (contrazione di columbite–tentalite) è un minerale nero
essenziale per la realizzazione di dispositivi elettronici tra cui cellulari,
pc, televisori, auto. Si tratta di una risorsa ferocemente ricercata e per
questo i giacimenti sono sfruttati in diverse parti del globo. Ma è in Congo
che tale frenesia ha effetti nefasti poiché dagli anni ’90 sussistono dei
conflitti etnici ed i proventi dello sfruttamento delle risorse di Coltan
vengono impiegati per l’acquisto di armi. L’ONU ha denunciato la situazione nel
2003, ma l’estenuante estrazione del minerale prosegue nella violenza più
disumana causando anche danni irreversibili all’ambiente. Non diversa è la
storia dei diamanti di sangue, estratti in zone di guerra e venduti
clandestinamente per finanziare i conflitti. Le multinazionali proseguono
sordidamente e noi vegetiamo incuranti delle violenze cui uomini, donne e
bambini sono soggetti quotidianamente perché costretti a scavare e a toccare a
mani nude il leggermente radioattivo Coltan. C’è chi auspica una normativa che
renda tracciabile il percorso del minerale, ma il nostro egoismo non può
nascondersi dietro una legge. Siamo noi gli acquirenti delle materie finite,
oggetti ultratecnologici di cui dotiamo anche i bambini, e dovremmo vergognarci
perché siamo noi i mandanti delle più atroci brutalità.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”,
21 agosto 2014, p. 16.
non ne sapevo nulla
RispondiElimina