Proviamo
a guarire per un giorno dalla mania dell’iperconnessione
Quando ci
sottoponiamo ad un esame del sangue per monitorare le nostre funzioni vitali e
l’esito del nostro stile alimentare e di vita, ci preoccupano spesso i valori
che corrispondono alla nomenclatura sideremia, calcemia, bilirubinemia,
glicemia, azotemia, ma in particolare colesterolemia. Quando quest’ultima
propende verso alti livelli, si sposa con il prefisso iper: ipercolesterolemia.
In questo caso si ricorre ad ulteriori controlli a carico dell’apparato
cardiovascolare che potrebbe risultare compromesso. Cerchiamo di curarci o ci
dimostriamo incuranti.
Al giorno
d’oggi, sta per essere riconosciuta come malattia sociale l’iperconnessionemia.
L’anamnesi di questo morbo ci rivela che inizialmente il web si è proposto come
prodigio, come macchina perfetta (analogamente al corpo umano) poiché
permetteva la divulgazione istantanea di notizie. Inoltre internet ha aperto ai
giovani ed ai meno giovani fiorenti prospettive di lavoro e di collaborazioni a
distanza. Con l’avvento dei social network il flusso è mutato: all’iniziale
libertà d’espressione garantita dalla stessa Costituzione è subentrata una
libertà cancerogena, ossia una perdita di limiti. I webnauti hanno cominciato
ben presto ad abusare di quella forma di democrazia facendola sconfinare
nell’anomia, o se volete nell’anarchia. I meccanismi di censura sono fittizi e
tutti gli utenti possono agire restando impuniti ed usufruendo dell’anonimato.
Gli impieghi della rete sono plurisfaccettati, ma riconducibili ad un unico
motore: la nostra capacità di gestirci. Abbiamo deteriorato quell’enzima che ci
consentiva di riconoscere il momento in cui l’adsl doveva essere spenta
affinché potessimo metabolizzare la vita virtuale condotta. Di conseguenza
soffriamo di una patologia nota come dipendenza dal web. L’ingresso di palmari
e smartphone nel quotidiano ha accelerato la dipendenza rendendola irremeabile.
Se il vostro primo pensiero al mattino è quello di collegarvi al profilo social
e ripetete la stessa operazione la sera prima di andare a letto, sappiate che
non si tratta di amore, bensì di dipendenza. Se a motivarvi è la paura di
rimanere esclusi dalle attività sociali, in realtà vi siete isolati
automaticamente dietro quel display. Abbiamo stretto un patto col diavolo nel
momento in cui abbiamo impugnato un joystick, acquistato un tablet e adagiato
sul palmo della mano uno smartphone. Potrei sbagliarmi, ma proviamo a vivere un
giorno senza questi gingilli!
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”,
20 novembre 2014, p. 24.
è vero, ma ormai sembra una cosa irreversibile..è difficilissimo tornare come prima
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