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mercoledì 30 maggio 2018

Il mondo digitale e il divario digitale

Il divario digitale produce nuovi emarginati
Silvana Calabrese blog La scorribanda legale
Siamo entrati nell’era dell’evoluzione tecnologica con la rete internet che permette: l’accesso a una vasta gamma di servizi complici dello sviluppo economico e della crescita sociale; di costruire e mantenere i rapporti anche a distanza, si veda ad esempio l’e-learning, la cui migliore traduzione è apprendimento a distanza (le scuole si stanno connettendo ad internet e dotando di pc, anche se la tecnologia non può prescindere dalla buona qualità degli insegnanti). Quando parliamo di globalizzazione intendiamo l’espansione dei mercati unita alla riduzione delle distanze, cosa garantita proprio dalla rete, dalla sua comunicazione in tempo reale tra luoghi lontani e «senza ostacoli». La rete consentirebbe una fatata vicinanza al futuro. Ma accanto alle numerose opportunità ci sono altrettanti limiti. Manuel Castells, maggior sociologo del web, è il teorico della «network society» il nuovo tipo di società su scala globale in cui internet ha prodotto una mutazione antropologica poiché è la trama delle nostre vite. Pare che la centralità di internet nella società sia equivalente alla marginalità per coloro che non vi hanno accesso. Si tratta del digital divide, quel divario digitale che non accenna a diminuire. Spesso la tecnologia produce un isolamento legato all’impossibilità di poter disporre degli stessi mezzi.
Sussiste una divergenza nel cercare una definizione al concetto di divario digitale. Riguarda la carenza di accesso alle tecnologie informatiche e di comunicazione e la mancata fruizione dei servizi che queste consentono. Il termine è solitamente usato per i Paesi in via di sviluppo dove effettivamente il divario è marcato. Ma tale disuguaglianza tecnologica si avverte anche nelle nazioni più evolute. Non solo un problema di copertura e connettività dunque, ma uno sbarramento nella possibilità di fruire di testi, strumenti e saperi. È una linea di demarcazione tra info-ricchi e info-poveri. Una connessione a internet, per quanto ci ostiniamo a sostenerne la gratuità, è un servizio oneroso; inoltre occorre una conoscenza dell’inglese e del computer, dotato di programmi in evoluzione.
Fattori reddituali, capacità di tenersi aggiornati ed elementi anagrafici non ci permettono di seguire una tecnologia che procede inesorabile. Fanno eccezione i «Silver surfer», un gruppo di assidui navigatori anziani che padroneggiano ed utilizzano regolarmente internet. 
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 16 novembre 2015, p. 12.

domenica 27 maggio 2018

La formula del successo emulando i ragni sociali

I ragni sociali fanno lavoro di squadra 
Ragni sociali Silvana Calabrese Blog
Possono provocare ribrezzo (aracnofobia) o grande amore (aracnofilia), in ogni caso nessuno negherà mai il fascino del mirabil tessitore, il ragno. Basti pensare alle ragnatele paragonabili a grandi opere di architettura costruite con pazienza e multifunzionali. Se ne possono osservare diverse tipologie con analoghe funzioni: quella tela di seta serve ad imprigionare le prede e sorregge un grande peso. Esistono più di 40 mila specie di ragni e quasi tutti sono lavoratori autonomi e conducono una vita solitaria, lungi dall’operare all’interno di una comunità. Tuttavia se vi dovesse capitare di avventuravi nel cuore di una foresta pluviale o tropicale, provate a sollevare il capo e con stupore vi ritroverete sotto un’enorme ragnatela che somiglia a una cupola. Tranquilli, non è stato un ragno gigante a costruirla! Quando metterete a fuoco quella rete, potrete notare i numerosissimi ragnetti che vi giacciono. È una vera e propria congrega di diverse migliaia di tessitori definiti social spider, ovvero ragni sociali. Le foreste pluviali sono caratterizzate da frequenti precipitazioni che renderebbero impossibile la vita di un ragno solitario. La costruzione di ragnatele comuni, e perciò molto resistenti alle intemperie, è garanzia di sussistenza per ogni membro della comunità. Infatti la realizzazione ben coordinata di reti che superano i 50 metri quadrati consentono la cattura di una vasta gamma di insetti che divengono viveri per l’intera colonia.
È il caso di affermare che i ragni ci insegnano qualcosa e che forse, dopo averli osservati con ammirazione, dovremmo emularli. Non ci citeranno in giudizio se copiamo il loro metodo!
In un periodo di crisi e depressione che non giova ad una ripresa, sarebbe opportuno sperimentare progetti collettivi. Perfino tra i banchi di scuola non sarebbe errato creare gruppi in cui ciascun membro contribuisca a far decollare un’idea comune, sia essa circoscritta o estesa alle amministrazioni comunali. Anche all’università, bandendo l’inutile invidia, sarebbe ben più proficuo associarsi in team e creare un’identità di squadra che con serio impegno possa ritagliarsi un ruolo nella società, emergere e non passare inosservata proprio come quelle ragnatele megalitiche. Di fronte alle difficoltà che il presente ci ha serbato dobbiamo abbandonare la via già intrapresa dell’individualismo e lavorare insieme con coscienza. Applicando la ricetta dei ragni sociali, tutti riscuoterebbero la propria parte di merito così come le grandi tele delle foreste pluviali irretiscono le vettovaglie degli ingegnosi aracnidi. 
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 25 giugno 2014, p. 24.

giovedì 24 maggio 2018

Crisi? Debito pubblico? Riproponiamo la tassa sul celibato?

Tassa sul celibato. Matrimonio Sposi Silvana Calabrese Blog
Nel regno animale una specie viene dichiarata in via di estinzione quando decresce il numero di femmine atte, per antonomasia e per biologia, alla riproduzione. Tra gli umani la cosa viene data per scontata. La popolazione mondiale è aumentata, ma non grazie al numero di bambini poiché ne nascono sempre meno. Vi è una forte incidenza di anziani. E i giovani? Sono allergici ai «fiori d’arancio» ed esperti nell’uso dei contraccettivi. Gli uomini hanno problemi alle giunture e non riescono ad inginocchiarsi per chiedere la mano della loro fidanzata. A dire il vero il celibato si configura come una scelta consapevole e non dettata da un contesto sociale instabile che rende faticoso creare nuovi nuclei. Siamo entrati nell’epoca dell’amore libero e del sesso facile in cui urge la necessità di bruciare le tappe e vivere la vita nella dissolutezza più totale. Ricordate il regime fascista? È oggetto di critiche, ma vanta anche dei pregi quali il desiderio di ordine sociale ed un particolare riguardo verso il concetto di famiglia. Essa rappresentava l’elemento fondamentale, subordinato ai valori politici, per rafforzare il disegno totalitario, per creare una società ordinata, per accrescere il numero di soldati, per raggiungere l’obiettivo di grandezza nazionale. Ma qualcosa non andò come previsto: si registrò una diminuzione della fecondità femminile proprio quando il regime fascista conduceva una impetuosa propaganda demografica. Il consenso vacillava così come l’accettazione di un modello intimo imposto dal regime. I motivi? Le dinamiche spontanee non possono essere influenzate e la modernità incombeva. Fu così che accanto alle blande misure per incentivare la natalità si accostò prepotentemente la tassa sul celibato, un’imposta istituita nel 1927 e diretta ai celibi tra i 25 e i 65 anni. Il tributo variava in base all’età e al reddito.
[Il fascismo ebbe un’idea innovativa mossa però da una motivazione sbagliata. Nell’Italia contemporanea è desueta l’idea che la popolazione giovane costituisca una risorsa e stranamente non si agisce affinché la gerontocrazia muti in iuventucrazia (proporrei il neologismo per la prossima edizione dello Zingarelli).] Una simile imposta scuoterebbe il paese alle fondamenta e credo che lo risolleverebbe definitivamente dai debiti accumulati. Cosa ne pensate, ne proponiamo l’introduzione? 
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 6 agosto 2014, p. 16.

lunedì 21 maggio 2018

Sono ancora nel bozzolo, ma già stanchi di lottare

L’era delle litanìe giovanili 
Esistono due tipi di fenomeni: quelli che ci limitiamo ad osservare e studiare, come ad esempio i fenomeni atmosferici, e quelli che noi contribuiamo a generare. Il più recente è il fenomeno delle litanìe giovanili. La categoria dei giovani, all’alba della prima decade del III millennio, ritiene che la società l’abbia resa marginale, depauperandola del futuro e costringendola a vivere un presente dai contorni indefiniti.
Stanchezza lavoro dormire Pisolo Silvana Calabrese
Supponiamo per assurdo di poter paragonare i giovani alle donne, le stesse che per molto, anzi troppo tempo sono state paralizzate, nei comportamenti, dalle convenzioni sociali.
Secoli di conquiste civili e politiche avevano trascurato il mondo femminile, privandolo perfino del diritto al voto. Loro, le donne, non persero tempo, acquisirono la consapevolezza degli eventi storici e condussero la loro battaglia femminista al fine di raggiungere emancipazione, autonomia e riscatto sociale.
I libri di storia ci illuminano su quanti ostacoli le esponenti di sesso femminile abbiano incontrato prima di conquistare il suffragio femminile. Le «suffragette» statunitensi lo raggiunsero nel 1820, mentre le italiane nel 1946.
Ma i diritti che oggi sono riconosciuti alla donna (voto, famiglia, pari opportunità nel lavoro, periodo di maternità retribuita) hanno radici storiche e sono preceduti da decine di secoli di subordinazione sociale.
La storia, nei diversi periodi che la contraddistinguono, è costellata di personaggi, sia maschili che femminili, il cui esordio sociale è stato durissimo, eppure non hanno mostrato segni di cedimento nemmeno quando le circostanze erano riluttanti a svelare aspetti positivi.
I nostri predecessori, tra cui i giovani protagonisti del ’68, hanno lottato per ottenere quella libertà che poi molti giovani della nostra generazione hanno trasformato in libertinismo.
Se le vostre litanìe sono supportate da solidi pilastri, allora non indugiate, realizzate ciò che per voi ha realmente valore. Credete in voi stessi, siate audaci e coraggiosi, non datevi mai per vinti.
Vi sembra forse che Maria Montessori abbia perso tempo con inutili litanìe verso un’Italia che imperdonabilmente tardò a riconoscerle i suoi meriti?
E vi sembra che io mi sia arresa lungo il tortuoso iter editoriale per dare alla luce Tutti i misteri sono risolti
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 18 giugno 2011, p. 24.

venerdì 18 maggio 2018

Misure e contromisure in situazioni di «mobbing»

Silvana Calabrese blog La scorribanda legale
Mobbing, mobber, mobbizzare non sono lemmi sportivi bensì indicatori di una purulenta piaga sociale. Per dirla in termini da aperitivo è come shakerare energicamente angherie, vessazioni, emarginazione, umiliazioni, ostracismi ed offrirli a una sola persona. La strategia prevede che un gruppo di mobbers metta in atto comportamenti molesti al fine di mobbizzare un individuo, il mobbed. Coniato negli anni ’70 nell’ambito dell’etologia (ramo della psicologia che studia i caratteri, ma anche scienza che studia il comportamento degli animali) il termine si è trasferito dal regno animale a quello sociale come vuole la radice «mob» che sta a indicare la folla in tumulto in senso spregiativo. Chi lo attua ricerca il sostegno di altri individui affinché la violenza psicologica perpetrata ai danni della vittima risulti prorompente. Coloro che prendono l’iniziativa, mi piacerebbe dire che «non sanno quello che fanno», sono privi di integrità morale e consci della propria staticità mentale tanto che negli anni hanno affinato la malvagità. Questa è l’unica direzione verso cui sono stati in grado di canalizzare le loro energie. Questa subdola pratica persecutoria ha la funzione di indurre l’oppresso a rassegnare le dimissioni oppure determinare nella stessa persona un calo della produttività tale per cui il licenziamento sarà inevitabile. Le vittime hanno un bersaglio appeso al petto perché creativi, capaci, onesti, diligenti. Nell’ambito della scuola avviene da parte dei compagni o «dall’alto» se praticato da un insegnante mediante giudizi ingiustificatamente negativi. Prego i lettori di non travisare queste ultime parole. Si può praticare anche in famiglia nei casi di separazione quanto vengono sabotati i rapporti generazionali. Il mobbing può causare seri problemi di salute di natura psicosomatica, poiché incide sulla possibilità di adattamento e sul livello di autostima. Lo stress aumenta e ci si sente isolati e depressi. A questo stato d’animo si aggiunge una bassa resa professionale (nei casi peggiori) o una demotivazione crescente. Chi soggiace a queste violenze non riesce a fornirsi una spiegazione razionale e finisce col convincersi di avere in sé qualcosa di errato. Non è così. Diventate guerrieri, organizzatevi per resistere, non pensate nemmeno per un secondo di abbandonare la scena o vi precluderete il momento del riscatto. Non cedete, non vi isolate, anzi rinsaldate i rapporti umani con i vostri cari, ma non confidatevi troppo o correrete il rischio di essere paragonati a dei paranoici e rimanere soli sul serio.
Il più delle volte i mobbers non sono altro che banali provocatori che vogliono indurvi a reazioni incontrollate. La soluzione è mantenersi calmi e lucidi osservatori di una situazione nella quale si può ricorrere a vie legali anche se in questo caso vi si prospetteranno le famigerate lungaggini giuridiche. 
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 22 aprile 2013, p. 14.

martedì 15 maggio 2018

Con le tasse in regola soffrirai. Con i conti offshore riderai

Se un onesto cittadino sarai, all’ufficio recapito postale patirai 
Il postino suona sempre due volte. Un film interessante dal titolo fuorviante. È opinione comune che le sue citofonate siano così delicate da non avvenire. In altri casi il destinatario non è in casa e la prassi vuole che gli si notifichi la presenza di una raccomandata da ritirare presso l’ufficio di recapito postale a partire dal dì seguente. Mai prenderla comoda! Perché dal 5° o dal 10° giorno di giacenza è prevista una esigua tassa pari a 0,52 euro al dì.
Silvana Calabrese fumetto
Partire alla volta di questo ufficio postale è un’avventura come Salgari non sarebbe mai riuscito a descrivere… L’ufficio è angusto, con soli 3 posti a sedere, e ben presto si appresta a veder superata la sua capienza massima. Sembra la tana di un lupo, in cui molte sono le orme di animali che entrano e poche quelle delle creature uscenti. Si procede lentamente per via di guasti telematici e presunte carenze di personale, in realtà ammassato dietro le quinte intento a svolgere altre pratiche. Alcuni dei destinatari ogni mattina salpano al fine di procacciarsi un’occupazione, e in casa non ci sono. Altri sono onesti lavoratori costretti a chiedere un permesso di lavoro solo per ritirare una raccomandata. Raramente l’oggetto del ritiro è un utile vaglia o un pacco frutto di una spedizione che giunge da molto lontano. Il più delle volte si tratta di semplici grane.
I mittenti sono sempre gli stessi, simili a degli incalliti stalker. Per evitare l’ulcera da stress, proviamo a comicizzare il tutto passando in rassegna le diverse missive.
L’Agenzia delle Entrate è lieta di invitare la Signoria Vostra al gran galà dei pagamenti.
L’ufficio Ripartizione Tributi del Comune di Bari vi invita ad espletare i pagamenti, anche quelli non dovuti per accertati motivi. Equitalia ha il piacere di annunciare l’inaugurazione del club dei maxi pagamenti in stile ultima spiaggia. L’anziana Rai col fiuto di un giovane mastino ti scrive gentilmente al fine di scuoterti sonoramente al pagamento del canone.
I centri turistici inviano regolarmente cartoline di auguri per mantener desto il ricordo della vacanza. Questi enti, invece, ci scrivono a loro modo per augurarci buone feste o per farci la festa.
Se Fedro avesse scritto in prosa, ci avrebbe ugualmente donato una morale: se sei un onesto cittadino patirai. Se i conti offshore aprirai, solo allora ti salverai. 
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 23 maggio 2016, p. 16.

sabato 12 maggio 2018

Fatta la legge (sulla privacy) trovato l’inganno

Silvana Calabrese Blog La Scorribanda Legale
Non esiste legge che riesca a tener conto delle possibili sfumature della realtà oggetto di accurata ponderazione. Ogni legge presenta qualche falla. Tutte le leggi si scontrano con l’aspetto pragmatico insito nella loro applicazione. Esistono leggi approvate in passato, come la Costituzione della Repubblica italiana (1948), che necessitano di un ripensamento legato al nuovo contesto sociale. Si espandono i mezzi di diffusione e mutano nozioni come quella di corrispondenza (da epistolare a elettronica). Le abrogazioni intervengono a sostegno degli effetti dei mutamenti storici sulla sfera legislativa. Vi sono nuovi ambiti, il web e il digitale, ancora privi di forme di tutela ad ampio raggio. Ma normative recenti sulla tutela di diritti inalienabili non possono godere della medesima attenuante. Tra i diritti fondamentali annoveriamo il diritto all’identità personale ed il diritto alla riservatezza. Ne consegue una doverosa protezione in caso di diffusione dei propri dati. Così si inaugurò la legge n. 675 del 31.12.1996 “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali” a garanzia dei diritti di cui sopra. In seguito è stata abrogata e sostituita dal Decreto Legislativo n. 196 del 30.06.2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, meglio noto come Codice sulla privacy. Il diritto alla riservatezza non riguarda solo i dati individuali, ma ogni informazione personale. Il codice contempla il trattamento dei dati forniti ad un ente o istituzione, pubblici e privati, nel momento di una registrazione, iscrizione o espletamento di un concorso. Il trattamento è un’operazione svolta con l’ausilio di mezzi elettronici e non, concernente i dati (raccolta, conservazione, elaborazione,). La persona che fornisce i suoi dati, al momento della raccolta, deve essere informata sull’utilizzo che ne verrà fatto. Quando firmiamo per acconsentire al trattamento dei dati personali, in realtà siamo ignari circa il loro futuro impiego. L’art. 4 offre delle definizioni come quella di comunicazione elettronica: «ogni informazione scambiata o trasmessa tra un numero finito di soggetti tramite un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico. Sono escluse le informazioni trasmesse al pubblico tramite una rete di comunicazione elettronica, come parte di un servizio di radiodiffusione, salvo che le stesse informazioni siano collegate ad un abbonato o utente ricevente, identificato o identificabile». Date di nascita, indirizzi di residenza, codici fiscali, numeri e scadenze delle carte di identità, coordinate bancarie sono facilmente reperibili on-line senza barriere o credenziali d’accesso. Non è facebook a favorire i furti d’identità. Gli enti pubblici violano la privacy. 
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 7 luglio 2013, p. 16.

mercoledì 9 maggio 2018

Intagli di frutta e verdura. Rose rosse con pomodori

Decorazioni con i prodotti della natura: 
rose rosse con pomodori
Rosa pomodoro Silvana Calabrese - Blog

Rose pomodoro Silvana Calabrese - Blog
L'articolo fa parte della sezione "Intagli di frutta e verdura"
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domenica 6 maggio 2018

Il sacrosanto diritto di tutelare la propria salute

È lecito arrogarsi il diritto di tutelare la propria salute in prima persona. Specialmente se demandare la questione a medici o farmacisti si rivela spesso un’incerta lungaggine. Vorrei riferire i rari episodi di persone che hanno contattato direttamente le case farmaceutiche o le aziende che producono materiale sanitario. Pochi pazienti hanno seguito questa procedura per comprendere a fondo la personale compatibilità con un determinato farmaco o con la sperimentazione di un trattamento innovativo. Grazie alla rete, il più democratico dei mezzi di comunicazione ed informazione, c’è la possibilità di raccogliere informazioni su strumenti, trattamenti, composizione chimica dei farmaci e sulle aziende stesse che si occupano della loro produzione e commercializzazione. È semplice reperire i dati delle case farmaceutiche e non è vietato che un comune cittadino instauri un contatto.
Silvana Calabrese Direttore
Ma le aziende sembrano non apprezzare l’interessamento dei privati cittadini, nonché potenziali fruitori di farmaci o trattamenti. Infatti finché il paziente non li mette in riga, gli impiegati tendono a mostrarsi stizziti. 1) Sostengono che solo il medico o il farmacista può avere l’ardire di contattarli e che il comune paziente non dovrebbe impicciarsi. 2) Aggiungono che è molto strano che un banalissimo cittadino sia così bene informato sui trattamenti usuali o all’avanguardia e che padroneggi un gergo tecnico pur non esercitando una professione in campo sanitario. 3) Chiedono, con stupore, come faccia una persona comune (il tipico paziente meticoloso) a sapere così tante cose sui loro prodotti se non è del settore. 4) Danno per scontato che chi si presenta col titolo di dottore sia un medico o un farmacista. 5) Restano di stucco quando scoprono che il dott. Rossi è solo un laureato, ma non in medicina o farmacia. Ho elencato i cinque comportamenti assurdi analoghi alle cinque dita della metaforica mano che può dare loro una sferzata decisiva. A questa gente si risponde così: 1) il paziente non si impiccia d’altro che della propria salute; medici o farmacisti se sprovvisti di informazioni non sono celeri o motivati nel reperirle; 2) una persona colta padroneggia qualsiasi linguaggio e si mostra sempre informata; 3) le ricerche in rete accrescono la conoscenza; 4) ogni laureato ha il titolo di dottore, ma non è detto che sia un medico.
Concluderei con una nuova massima: oh voi delle case farmaceutiche, siate umili con i pazienti come fossero vostri capi, poiché essi (e non i medici o i farmacisti) acquistano i vostri prodotti. 
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 3 febbraio 2016, p. 16.

giovedì 3 maggio 2018

Tra medico e paziente chi è il dottore vero?

Tra noi due il dottore sono io!
Dott.ssa Silvana Calabrese La scorribanda legale
Ce lo siamo sentiti dire una volta di troppo. È la frase che fa perdere stima nel medico che si ha di fronte. Il rapporto tra medico e paziente infrange spesso la soglia di civiltà e conduce il dottore a perdere la faccia. Il contesto cui mi sto riferendo è quello in cui ci si reca dal medico, sia esso generico o specialista, per un consulto o per sottoporsi a una cura. Esistono tante categorie di pazienti: quelli che paiono estranei rispetto alla propria salute; quelli che temono l’instaurarsi di un dialogo col medico; quelli che si informano quanto basta e quelli che hanno un’inclinazione particolare verso l’informazione. Quest’ultimo è il paziente zelante, ritenuto fastidioso dalla maggior parte dei medici. C’è da precisare che il paziente scrupoloso non si mostra saccente, presuntuoso o arrogante. Ha solo il desiderio di sapere ed informarsi sulla propria situazione clinica e sulla prassi del trattamento cui è in procinto di sottoporsi. Il corpo è suo come suo è il dovere di conoscerne lo stato di salute al fine di preservarlo. Presentata così la situazione pare seguire il rettilineo del buon senso. Inoltre alcuni casi di malasanità possono essere evitati proprio con un’adeguata informazione. Il dialogo col dottore, ben lungi dall’essere una chiacchierata tra amici, serve a far emergere particolari situazioni anatomiche o fisiologiche del paziente che possono orientare al meglio l’esecuzione del trattamento terapeutico.
Ma oggigiorno vi sono troppi medici che non tollerano la meticolosità dei propri pazienti e vivono così male il fatto che essi si siano informati, e che desiderino saperne di più, da dare sfogo a esplosioni di una rabbia che sembra repressa da anni. È in quel momento che ci si sente dire a pieni polmoni e con un mutamento cromatico, tendente al rosso acceso, che interessa il viso: «Tra noi due il medico sono io. Vuole insegnarmi come fare il mio lavoro? Vuole prendere il mio posto?». Può variare il lessico, ma non il significato. Non è un buon segno udire tali affermazioni da qualcuno che indossa il camice bianco. È l’espressione della perdita del controllo, ma anche il sintomo di un male oscuro e profondo. È segno di maleducazione, ma anche di forte insicurezza e scarsa autostima. Non c’è ragione di lasciarsi andare in un modo tanto sgradevole. E non è fondato il timore che un paziente prenda il vostro posto, in primo luogo perché gli occorrerebbero anni di studio per giungere a ottenere titolo e abilitazione. Si è rivolto a voi perché voleva tutelare la propria salute sulla quale esercita piena titolarità di diritto, non dimenticatelo! 
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 14 luglio 2016, p. 24.