Una delle patologie che affligge la società è l’egoismo
associato all’incapacità di individuare nessi causali. La disoccupazione (soprattutto
giovanile) sfiora nuovi record, ma è il picco di indifferenza
intergenerazionale a destare maggior orrore. Agli estremi della piramide
anagrafica si collocano gli anziani con le pensioni d’oro, argento o bronzo (quelle
minime) e i giovani adultescenti che terminati gli studi non possono far altro
che regredire allo stato embrionale. Parlare in questi termini equivale a
«piangersi addosso», espressione infelice e poco aulica con la quale i
governanti spronano al cambiamento. Uno dei nostri obblighi è l’informazione,
ma abbiamo anche dei precisi doveri verso il raziocinio, eppure vige intorno a
noi la stasi più truce. I pensionati o colori i quali sono vicini alla culla
del sistema previdenziale ignorano, probabilmente, che il loro futuro immediato
è strettamente vincolato allo stato di salute impiegatizia dei più giovani. In
Italia, infatti, sono i lavoratori di oggi che con i loro contributi pagano le
pensioni. Si tratta di un sistema il cui equilibrio viene garantito dal patto
intergenerazionale. Nessun pensionato ama che gli si tocchi il gruzzolo, specie
se si tratta di pensioni d’oro! Ma allora siamo tutti collegati da un sottile fil rouge che non si può scindere.
Capita che anziani in età pensionabile o impiegati che hanno
cumulato molti anni di lavoro rivolgano ai più giovani, in stato di precarietà,
quesiti circa i loro progetti e sogni. In un contesto tanto critico domande
simili sono paragonabili a lame arroventate che lacerano la carne. E la cosa
sembra appagare il loro sadismo. Non dispensano consigli, ma con estrema
superficialità dimostrano di sottovalutare la realtà. Trascurano il fatto di
non essere realmente al sicuro poiché un’atroce conseguenza è più vicina di
quanto si creda. È un’ombra silenziosa l’economia sommersa. Pensate a quei
giovani che hanno studiato con serietà ed anche a quei padri/madri di famiglia senza
lavoro. Ora immaginate il vuoto interiore che provano, un vuoto che si amalgama
con il senso di abbandono da parte della società e dei politici che affollano
Montecitorio. L’unica speranza è il lavoro nero, le cui possibilità di guadagno
placano la disperazione e non rappresentano il frutto della furbizia di medici
e liberi professionisti. Chi fa della parsimonia la propria virtù è in grado di
crearsi un fondo pensione. In questo caso il vero danno lede lo Stato e quei
lavoratori tanto indifferenti verso la realtà giovanile ed incauti nell’impiego
dell’egoismo. Solo unendo le nostre forze possiamo trovare una soluzione
migliore.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 23 gennaio 2015, p. 20.
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