Recensione: Pilar Godayol (a cura di), Voci chicane – mericans e altri racconti,
trad. di Annarita Taronna, Besa
Editrice, Nardò (LE) 2005, pp. 162, € 13.
Quando la
scrittura diventa catarsi, nonché atto di libertà, ecco che vengono alla luce
questioni considerate tabù. Talvolta però, questa alternativa al silenzio,
all’insegna della rivendicazione del proprio corpo, può avere connotati
impetuosi, perchè la scrittura ha una potenzialità intrinseca: funge da cassa di
risonanza e dunque facilmente enfatizza termini, frasi, paragrafi.
Nel racconto Guadalupe, la dea del sesso, emerge il
mistero dell’essere donna. L’anatomia e la fisiologia del corpo femminile sono
sconosciute ad alcune donne per l’arretratezza culturale mantenuta costante da
un sistema religioso imposto nel tempo dal costume.
Conosci te stesso, la massima espressione filosofica e morale
dell'occidente, si riflette ampiamente nelle scrittrici chicane. L'antica
proposta socratica è piuttosto di difficile realizzazione, perchè l'identità
umana non è statica, ma fluida, in continua evoluzione. Uno dei mezzi
fondamentali, utili a ricostruire ogni identità, è il periodo dell’infanzia.
L’emarginazione e la discriminazione sociali hanno il loro germe da un lato in
quella supposizione infantile di invisibilità, dall’altro nel comportamento di
ciascun individuo, così come viene esemplificato nel racconto Il dono?
Il primo
brano, Mani, presenta una realtà
chicana intrisa di miti, leggende e superstizioni, cui molti sono fortemente
legati, forse anche in modo ossessivo, al punto da non accorgersi che un
tentativo di soluzione è più vicino di quanto pensino e consiste nel mettere in
pratica quello che in psicologia della comunicazione prende il nome di stile
assertivo. Consiste nel riconoscere le proprie emozioni, le proprie debolezze,
i propri bisogni e di comunicarli, aiutando al tempo stesso il proprio
interlocutore a esprimere a sua volta i propri sentimenti. Appare chiaro che
chiunque sia in grado di relazionarsi a questo livello è padrone incontrastato
delle dinamiche comunicative.
Riconosco che
il racconto Miss Clairol mi ha colto
di sorpresa per la ricerca spasmodica della sessualità seguita da un miscuglio
di impaccio, disgusto, infatuazione, illusione di vero amore. Il “romanticismo”
è costantemente trasformato in un rapporto di concretezza e di istinti. Ci
troviamo di fronte a descrizioni violente, crude, come quella acre della “prima
volta” e invano ci aspettiamo pagine soavi e al tempo stesso struggenti del primo
bacio e di sguardi come promesse.
Nello spirito
del libro che si ferma a ritrarre strati umili della popolazione, legati allo
slancio e all'istinto più che alla razionalità, si colloca di Sandra Cisneros Piccoli
miracoli, promesse mantenute. È un elenco di ringraziamenti e di ex voto,
pratica diffusa in passato anche in occidente, ormai divenuta obsoleta con
l'avanzare della civiltà industriale, cui ricorrono con l'ingenuità propria
delle popolazioni incolte che non hanno altro strumento di elevazione.
A Pilar
Godayol si deve la possibilità di leggere queste pagine che fanno da eco ad una
realtà lontana dalla nostra e che ci induce a riflettere sullo stile di vita di
persone che hanno perso in partenza la battaglia contro la sorte, intrappolate
come sono nel vortice di quei sistemi culturali stereotipati, lontani da ogni
offerta di soluzione. Forse unica loro consolazione è quella di ignorare
l'esistenza di realtà completamente diverse da quella che vivono.
Si coglie
nelle pagine del libro una profonda ingenuità e un senso del pudore imposti
dall'alto dalla religione, quella stessa cui si può imputare l'accusa di una
dilagante confusione che si ripercuote in particolar modo sulle donne e genera
massima vergogna verso ciò che è naturale. Dare voce a chi prima non ne aveva è
una conquista di civiltà. In ambito forense si potrebbe pronunciare
l'espressione chiamare a deporre un teste. Chiamiamo a deporre ancora
una volta Sandra Cisneros, autrice del brano Guadalupe, la dea del sesso:
«Essere donna è un gran mistero. Io ignoravo il mio
corpo così come qualsiasi mia antenata che si nascondeva sotto un lenzuolo con
un buco al centro quando il marito o il medico volevano 'visitarle'. La
religione e la cultura, la cultura e la religione, non fanno altro che accrescere
questa confusione, un'idea vaga su ciò che accadeva 'lì giù. Mi vergognavo così
tanto delle mie parti basse che ancora in piena giovinezza non sapevo di avere
un orifizio chiamato vagina; ero convinta che il ciclo mestruale arrivasse
attraverso l'uretere o, forse, attraverso le pareti della pelle».
La recensione è apparsa su
«La Nuova Ricerca», Rivista del
Dipartimento di Linguistica, Letteratura e Filologia Moderna, anno XVII–XVIII,
N. 17–18, Fabrizio Serra Editore, Pisa–Roma 2008–2009, pp. 303–304.
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