Recensione: Jaron
Lanier, Tu non sei un gadget,
Mondadori, Milano 2010, pp. 267.
Direttamente
dalla California, il pioniere nonché guru della realtà virtuale, Jaron Lanier,
analizza dettagliatamente l’impatto sociale della tecnologia digitale. E per
farlo, accantona la nozione di digital divide, ampiamente impiegata ma
mai compresa a fondo. Quello che definiamo “divario digitale” e che si traduce
nella mancanza di accesso alle tecnologie informatiche con relativa mancata
fruizione dei servizi che queste consentono, non deve essere associato soltanto
ai Paesi in via di sviluppo. La disparità digitale appartiene anche alle
nazioni più evolute e scaturisce da alcuni fattori: il livello di conoscenza
circa il funzionamento del personal computer; la padronanza dell’inglese di cui
pc e web sono intrisi; una fascia di reddito tale da permettere un primo
accesso al web o una continuità nelle connessioni.
L’autore
dimostra la sua coerenza intellettuale e professionale. Pur avendo un’enorme
considerazione verso il mondo della multimedialità, pur essendo un internauta
per eccellenza, consapevole che la tecnologia digitale è il suo lavoro, esorta
i lettori a difendere la propria vita reale dalla realtà virtuale.
Non viene
negata la comodità derivante dai supporti tecnologici, sia dal punto di vista
personale che in ambito medico, ma può essere negato il nostro bene più
importante, la capacità di fare esperienza. Potrebbero franare i confini della
libertà individuale. Lo dimostrano ipotesi utopiche o forse semplicemente
avveniristiche in merito all’abolizione della circolazione delle banconote a
vantaggio dell’utilizzo esclusivo di carte di credito. Che accadrebbe in caso
di problemi come quelli che Baudrillard fa rientrare nel novero dell’«ironia della
tecnica»? Il vantaggio può ricondursi ad una diminuzione/scomparsa
dell’economia sommersa. Lo svantaggio subentra se una carta si blocca o se
viene rifiutata e le banconote non fossero più in circolazione.
Numerose sono
state fino ad oggi le conferenze che hanno affrontato il tema della attuale
compresenza di testate giornalistiche sia on-line che in edicola, ma pare che
si tratti di una sperimentazione, della volontà di indurci a consultare i
quotidiani più rapidamente da casa con l’ausilio del mouse. L’opera riassume
questo ragionamento in un assunto: «qualunque oggetto abbia un surrogato
elettronico, va incontro a irrimediabile svalutazione».
Il web ci si
sta ritorcendo contro e con la sua falsa familiarità distoglie la nostra
attenzione dalla direzione verso cui sta procedendo. Le informazioni stanno
perdendo la loro qualità, si frantumano in parole che a loro volta vengono
sminuzzate in termini chiave per i motori di ricerca generando un universo di
schegge di pensiero anonimo e disarticolato, ma anche un insieme di concetti
talmente rimaneggiati da essere equivocati.
Il primo
inganno del web 2.0 è che intende promuovere una libertà radicale all’insegna
dell’interazione, ma ne depaupera quella fra le persone.
Lanier osserva
come la nozione di file venga insegnata agli studenti di informatica al pari di
un fenomeno naturale e teme per quello che potrebbe accadere alla definizione
di essere umano, dato che la persona astratta sta già oscurando la persona
reale. Un altro timore si riconduce alla noosfera, l’idea che da tutti
gli utenti del Web emerga una coscienza collettiva a scapito
dell’individualità. A suffragare questa intuizione è la storia del bue al
mercato, esemplificativa del concetto di «saggezza della folla»: un gruppo di
persone stima il peso dell’animale e la media delle varie stime è di solito più
vicina al vero rispetto a quella espressa dai singoli.
Le tematiche
affrontate conducono ad una diramazione tra reale e non reale e a questo
proposito è stata recuperata una definizione: «Ciò che rende reale una cosa
è l’impossibilità di rappresentarla nella sua totalità. Un’immagine
digitale di un dipinto a olio rimarrà sempre una rappresentazione, non un
oggetto reale. Un dipinto reale è un mistero insondabile. Un dipinto a olio
cambia col tempo; la sua superficie si crepa. Ha una tessitura, un odore, emana
una sensazione di presenza e di storia».
Nessun commento:
Posta un commento