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sabato 10 giugno 2017

Tra vicoli e precipizi. Popolazione e istituzioni a Matera nel corso del Settecento

     Recensione: Angela Carbone, Tra vicoli e precipizi. Popolazione e istituzioni a Matera nel corso del Settecento, Cacucci Editore, Bari 2010, pp. 166.
     Il peculiare assetto urbano della città di Matera è il probabile motivo ispiratore del titolo dell’opera. Tra vicoli e precipizi scorgiamo gli aspetti demografici della popolazione e della famiglia nella città più antica e suggestiva della penisola, ma soprattutto osserviamo, fino all’immedesimazione, le frange più bisognose della popolazione: le figure della povertà, gli orfani, gli esposti, le vedove rimaste sole ad allevare i propri figli. Ma non si è mai troppo soli a Matera per merito degli istituti assistenziali a sostegno delle fasce deboli e per via delle peculiari strutture abitative, i Sassi, che sfumano il confine tra spazi familiari e comunitari. È nel vicinato che si instaura un legame che trascende la rete di parentela ed unisce le famiglie residenti intorno allo stesso cortile.
Tra vicoli e precipizi.
     La fonte che permette all’autrice una ricostruzione demografica ed una articolazione sociale e professionale della popolazione di Matera è la numerazione ostiaria del 1732. Si tratta di una fonte civile e fiscale, volta cioè ad accertare il numero delle famiglie soggette al pagamento delle tasse all’interno dei singoli comuni.
     La documentazione che affiora dagli scavi archivistici evidenzia le inflessioni demografiche in corrispondenza dell’epidemia di peste nera del 1348 e di una malattia che determinò un sensibile aumento della mortalità infantile nel 1641, il morbus antracis in gutture.
La morfologia del territorio faceva sì che la suddivisione per contrade apparisse disomogenea registrando in maniera alterna piccole contrade, con un limitatissimo numero di abitanti, e contrade densamente popolate.
     Nell’età moderna vigeva un regime demografico naturale, caratterizzato da elevata natalità ed elevata mortalità. In assenza di metodi contraccettivi, le nascite si susseguivano con una frequenza elevata e i decessi coglievano i piccoli nei primi anni d’età. Gli autori di storiografia della famiglia hanno a lungo discusso, animando convegni scientifici, sul momento in cui si può cominciare a far riferimento al sentimento dell’infanzia. È difficile giungere a un accordo, ma è possibile asserire che solo quando diviene stabile la possibilità di operare un controllo sulle nascite e il bambino è desiderato, allora si può certificare la nascita del sentimento dell’infanzia.
     La struttura demografica materana mostra una popolazione giovane, costituita da quegli individui che hanno superato l’età critica, e una maggioranza di donne rispetto agli uomini, elemento derivante dalla maggiore longevità femminile a favore delle donne, cosa che ne determinava spesso uno stato di vedovanza. Anche la maggiore percentuale di vedove rispetto ai vedovi si può spiegare mediante contestualizzazione: contrarre un secondo matrimonio era considerato riprovevole per una donna.
     Le fonti archivistiche sono ciò che ci resta di una realtà non troppo remota e offrono la possibilità di analizzare numerosi elementi che l’autrice esamina: indici di struttura della popolazione, aspetti particolari in merito al raggiungimento dell’età anziana, celibato e nubilato, età al matrimonio, attività lavorativa, trasmissione del nome, meccanismi di selezione della forma nominale, forme cognominali. Ampia è l’appendice con la quale Angela Carbone dona al suo lettore l’opportunità di osservare personalmente i valori assoluti e percentuali dei dati presi in considerazione.
     Ricorrendo alla tipologia familiare proposta da Peter Laslett si evince che la famiglia nucleare era la più diffusa tra la popolazione dell’aggregato urbano che favoriva anche la presenza più consistente di solitari sia vedovi che giovani in cerca di lavoro. Le piccole dimensioni dei nuclei familiari vedevano il proprio ampliamento in virtù del livello di benessere. Ma la famiglia poteva estendersi in senso ascendente in linea femminile, accogliendo cioè nel nucleo coniugale un anziano genitore vedovo.
     Le pagine dell’opera ci restituiscono uno spaccato sociale dell’epoca: se ne descrivono le professioni, le condizioni delle abitazioni, le strategie familiari e matrimoniali, il concetto di patrimonio e le dinamiche che mette in moto, l’istituto del servizio a vario titolo, si affronta il tema della mobilità territoriale con i fattori che la determinano.
     Le ricerche condotte presso l’Archivio di Stato di Matera hanno portato alla luce numerosissime richieste di elemosina recapitate all’opera di beneficenza Monte della Madre Santissima della Misericordia. Il lavoro di ricerca si estende, in questa parte dell’opera, ai margini della società e si propone di ricostruire le storie e le condizioni di vita che caratterizzavano i più bisognosi ai quali le opere pie offrivano sollievo e sostegno.
     L’autrice delinea le diverse vicende, anzi vicissitudini familiari, alla base delle richieste di sostegno economico: non solo la scomparsa del capofamiglia, ma anche una sua eventuale inabilità al lavoro. E non solo la gente già umile, ma anche i ceti sociali elevati perchè i precipizi economici non erano appannaggio esclusivo delle famiglie il cui quotidiano era caratterizzato dalla fragilità.
     Il crollo economico non era l’unico elemento democratico perché a superare le barriere di classe intervenivano anche le epidemie come quella del terribile 1764 che vide la congiunzione di carestia ed epidemia di tifo.
     Le condizioni di indigenza turbavano numerose fanciulle il cui onore sarebbe stato in pericolo costante d’esser violato da chi ne avesse avuto l’intenzione. Da qui nascono le suppliche delle nubili, vergini in capillis, rivolte ad avere la possibilità di acquistare solo un vestito e un letto per maritarsi. Dietro l’apparenza di una richiesta semplice ed umile c’è il bisogno di preservare la propria pudicizia mettendo in salvo la reputazione femminile.
     Di particolare rilievo è il capitolo La tutela dell’onore: assistenza alle fanciulle orfane che focalizza l’attenzione alle donne prive del sostegno e della protezione che solo una figura maschile può offrire. A seguito del Concilio di Trento sorsero i conservatori femminili con l’obiettivo di tutelare l’onore femminile attraverso il controllo del corpo e la reclusione.
     Con l’occupazione Francese si attuarono delle innovazioni per le quali dall’opera privata di carità si passò all’intervento statale che riconosceva la necessità di un sostegno alle fasce deboli della popolazione e mirava al superamento del pauperismo attraverso il lavoro e l’alfabetizzazione. Il paradigma assistenziale femminile orbitava attorno ad alcuni punti cardine quali: l’educazione religiosa ritenuta fondamento dell’agire morale, l’addestramento ai lavori donneschi per imparare a condurre un ménage proprio o di altri, l’istruzione che avrebbe consentito a numerose fanciulle di restare in istituto, al raggiungimento dell’età adulta, e di divenirne istitutrice. 
     Storie di vita dalle vette dei ceti elevati alle valli dei ceti medio–bassi e bassi, destini che si incrociano in corrispondenza di grandi epidemie, narrazioni contornate dall’arretratezza dell’epoca in cui l’igiene e la sanità erano due elementi non del tutto conosciuti.

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