Ghostwriter
di professione, oggi mi racconto
Oggi vi vorrei
raccontare una professione poco diffusa nel nostro paese. Da ghostwriter di
professione, oggi mi racconto. Ghostwriter è un termine inglese che indica lo
scrittore fantasma o scrittore ombra, che viene cioè ingaggiato per scrivere
libri, autobiografie, articoli, lettere e discorsi che saranno firmati da
un’altra persona, il committente.
Nel mondo anglosassone tale mestiere si è
propagato con la necessità di scrivere le biografie di personaggi pubblici. Così
è nato lo scrittore ombra perché resta nell’ombra, ivi agisce, e perché segue
l’autore accreditato come un’ombra per raccogliere il maggior numero di dati. Un
ghostwriter che si rispetti deve amare la propria lingua e saper variare il
proprio stile linguistico rendendolo simile a quello del committente. È un
genere di elasticità camaleontica quella che si richiede agli scrittori
fantasma. L’inclinazione al rispetto delle scadenze concordate è un fattore
congenito. Il famigerato blocco dello scrittore non è contemplato. Occorre
saper organizzare il proprio lavoro in vista dell’obiettivo finale, secondo un
buon metodo di lavoro, ma soprattutto di ricerca.
Viviamo in un
periodo critico in cui la penuria di occupazioni tradizionali motiva a
inventarsi un lavoro che risponda a delle precise esigenze sociali. Oggigiorno
sull’onda lunga dei best seller di fama mondiale, è germogliata la voglia di
essere autori di un libro, almeno uno per poter affermare con orgoglio «ho
scritto un libro». Ma l’aver condotto gli studi con scarsa dedizione rende tale
desiderio velleitario. Allora entro in gioco io. A volte mi sembra di essere un
mercante di sogni. Con la potenza e la delicatezza delle parole dipingo gli scenari
che i miei committenti avrebbero voluto scrivere. I loro sogni si avverano ed
io ricevo un equo compenso, naturalmente regolarizzato col fisco. Ma come è
iniziata quest’avventura? L’idea non è partita dalla mia mente, bensì dal caso.
Ero al liceo quando mi capitò di scrivere dei temi ai compagni che volevano
mantenere un voto alto ottenuto per pura fortuna. All’epoca il ricavato
equivaleva all’espressino al bar e al passaparola che mi avrebbe permesso
ulteriori allenamenti. Nessuno si accorse di nulla perché emulavo alla
perfezione gli stili linguistici dei miei compagni. Giunta all’università
intravidi molti colleghi scontrarsi con il dosso della tesi di laurea e diedi
loro aiuto ad impostare l’intero impianto argomentativo. Oggi posso affermare
di essere cresciuta molto in questo ramo comunicativo e sono lieta di aver
condiviso con voi questa esperienza.
Da “La
Gazzetta del Mezzogiorno”, 28 settembre 2015, p. 12.
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