Nel lontano 1998 ho acquistato una casa e mi ci sono
trasferita. Ho un balcone esterno con vista su una villa abbandonata ampia il
doppio del mio grande comprensorio. È la villa del mistero che ha stregato
grandi e piccini. Non v’è certezza sulla sua storia che forse si lega al
binomio ricchezza-dissolutezza. A conferirle il vero fascino è la folta
vegetazione che avvolge viali e fabbricati e che infuoca l’immaginazione di chi
vuole ricostruirne le vicende. Di tanto in tanto i cancelli si aprono ai lavori
di potatura degli alberi di confine, segno dell’esistenza di eredi che si
assumono le proprie responsabilità. Di recente è accaduto qualcosa che sembrava
stesse per togliere la villa dalla condizione di abbandono. Degli operai hanno
iniziato a rimuovere le falde inclinate dei tetti delle dépendance presenti nella
proprietà. Osservandone i lavori è stato possibile individuarne la tipologia
edile: non una ristrutturazione, bensì interventi di bonifica… dall’asbesto. È
l’altro nome dell’amianto. Ora ci corrono dei brividi gelidi lungo la schiena.
Un tempo (fino agli anni ’80) era impiegato in edilizia per le coperture dei
fabbricati, canne fumarie e tubature, ma poi si è scoperto che le fibre di
amianto, se inspirate, causano gravi patologie polmonari tra cui il cancro. La
legge n. 257 del 27.03.1992 ne ha vietato l’uso in Italia. Lo smantellamento
dell’Eternit (cemento più fibre di amianto) è dunque necessario.
Gli operai
indossavano tute bianche e mascherine mentre estraevano, (in giornate con forti
raffiche di vento, 6-11.2.2015) le lastre del tetto dopo averle ricoperte con
una specie di spray rosso. Questa procedura prende il nome di incapsulamento e
consiste nell’impregnare l’amianto con delle resine resistenti in modo da
bloccare la dispersione delle fibre cancerogene. Gli incapsulanti hanno una
colorazione rossastra che permette all’operatore di verificare l’omogeneità
dell’applicazione.
Uno di quei tetti presentava una spaccatura, forse causata
dalla caduta di un ramo, già nel ’98. Il processo di deterioramento era già
avvenuto e in tutti questi anni abbiamo respirato a pieni polmoni l’ossigeno di
quegli alberi e polveri d’amianto. I lavori di smaltimento da poco ultimati
derivano dal timore degli eredi di esser citati in giudizio? Il rischio di
insorgenza di tumori non doveva costituire una spinta motivazionale ad
assumersi un preciso impegno? Mi rivolgo agli eredi a nome dei vicini: non mi
resta che esprimere gratitudine per averci donato le bellezze di tutto il verde
gratuito e incontaminato che circonda la villa, ma noi lo abbiamo pagato al
caro prezzo della salute dei nostri polmoni. Meno indugi in futuro!
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 10 aprile 2015, p. 22.
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