Una mattinata
trascorsa nella zona prelievi del Policlinico
Nel condividere con voi le vicende alle quali ho assistito durante le
ore trascorse nella zona prelievi del Policlinico di Bari, vorrei immaginare di
parlare al mio diario. È un escamotage utile a stemperare eventuali note di
aggressività. Caro diario, quattro mesi fa ho prenotato degli esami
ematochimici di routine al CUP del Policlinico. I medici ospedalieri mi avevano
persuasa a scegliere la loro struttura per il check-up annuale. Ho deciso di
dare loro ascolto ignara di una palese reticenza ed eccomi qui.
Non essendo noto l’esatto orario di inizio, nel corridoio ho scorto una
folta schiera di pazienti. Si procede secondo l’ordine di arrivo, ci si munisce
del numero, si firma il modulo del consenso informato e del trattamento dei
dati personali e si attende in un ambiente chiassoso la cui atmosfera a tratti
alterni ha l’odore del fumo di sigaretta. Deve essere un’impressione poiché la
legge lo vieta. La sala d’aspetto è capiente, 4 metri per 4 circa! Dopo
due ore giunge il mio turno e mi accorgo che la riservatezza è cosa rara
durante il prelievo perché la porta viene spesso aperta. Non è altrettanto raro
incorrere in qualcuno in preda ad un forte calo di zuccheri accentuato dalla
tensione profusa da quel luogo. È stato chiesto alle infermiere di modificare
le modalità operative in modo da rendere fattibili dei semplici esami, ma loro
sono meri dipendenti pertanto privi della facoltà di risolvere la situazione o
ponderare una soluzione. I pazienti dovrebbero chiedere udienza al dirigente
sanitario, ma credete sia facile? Accade spesso che nella gerarchia della
sanità la base non dialoghi col vertice. La diagnosi di questo problema è da
ricercare nel principio di autorità, bizzarro ma reale, dal quale scaturisce lo
stato di agente. Si tratta della condizione di appartenenza ad una struttura
gerarchica che solleva l’individuo dal senso di coscienza e responsabilità
(presenti invece nello stato di autonomia). Di conseguenza solo l’autorità è
responsabile dei suoi atti guidati dagli ordini impartiti (cit. Lungo i sentieri dell’identità p. 146).
Vorrei dare un consiglio organizzativo al nosocomio prendendo spunto
dall’organizzazione dell’Ospedale pediatrico Giovanni XXIII e dal Di Venere,
entrambi ospedali di Bari. Bisogna bandire l’ordine di arrivo ed assegnare
degli orari ai pazienti. Questo sarebbe già sufficiente ad evitare
accavallamenti. Organizzarsi vuol dire distribuire il carico di lavoro entro
tempi ben scanditi. Ed è un sistema valido nella sanità pubblica quanto nella
vita privata, sia per gli scolari che per gli adulti. Inoltre è un rimedio
contro il temuto stress quotidiano.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 13 giugno 2013, p. 24.
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