È
come un dono, non ci si può astenere dal riceverlo
Il diritto di
voto duramente conquistato, ora alle ortiche viene gettato. Le circostanze sono
favorevoli alla fioritura di una rima. Siamo stati chiamati al voto in
occasione delle elezioni politiche italiane del 2013 per il rinnovo dei due
rami del Parlamento italiano (Camera dei deputati e Senato della Repubblica). I
media ne parlano in termini di scarsa affluenza, inferiore rispetto ad altri
eventi elettorali. L’esercizio del voto non è solo un diritto, ma costituisce
un dovere che investe i cittadini. L’astensione dallo stesso, anche se mossa da
un crollo di fiducia nel sistema peninsulare già affetto da numerose
vicissitudini, non trova giustificazioni e anzi rappresenta un danno per i
rinunciatari. Si sente spesso asserire che il vero fallimento risieda nella
rinuncia e in effetti l’assunto è inconfutabile. Mentre un concreto deperimento
lo ha subito l’espressione «Italia: bel paese». Con chiarezza interviene la Costituzione , in
vigore dal 1948, che nei primi commi dell’art. 48 sancisce e garantisce che
«Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la
maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio
è dovere civico». Il popolo è stanco della realtà attuale accompagnata da una
politica lontana dal vissuto dei cittadini. Questo però è un alibi, scusante
dell’assenteismo (probabile riflesso del comportamento dei parlamentari). Per
suffragare il mio assunto citerò i referendum abrogativi del 2005, distinti in
4 quesiti sulla legge n. 40 del 19.02.2004 «Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita». Si tennero il 12 e 13 giugno 2005 e non raggiunsero il
quorum. È nitido il ricordo di quelle mattine di sole. Mi recai alle urne e poi
in spiaggia. Ossia anteposi il dovere al piacere. Ma in troppi assunsero un
comportamento divergente rispetto al mio: donne biologicamente improduttive o
già madri; uomini; ragazzi/e che non avevano compreso il peso della scelta. Il
voto è necessario anche quando il suo esito non ci tange in prima persona. Ma
questo discorso deraglia ora verso ciò che diamo per scontato, ovvero il modo
ispido col quale siamo giunti a conquistare questo nostro diritto. Il suffragio
universale venne istituito dopo la
II guerra mondiale. Precedentemente, nell’età giolittiana,
definita epoca di riforme, si previde il suffragio universale maschile nel
1912: per la prima volta in Italia il diritto di voto veniva allargato a tutta
la popolazione maschile al di sopra dei 21 anni, indipendentemente dal reddito
degli elettori, purché sapessero leggere e scrivere e avessero adempiuto agli
obblighi del servizio militare. Rimaneva l’esclusione degli analfabeti, che
potevano accedere al voto solo dopo aver compiuto i 30 anni, e delle donne alle
quali il voto fu riconosciuto nel 1946. Un diritto è come un dono: non ci si
dovrebbe astenere mai dal riceverlo.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”,
27 febbraio 2013, p. 32.
Nessun commento:
Posta un commento