Recensione: Francesco Bellino, Pensare la vita. Bioetica e nuove prospettive euristiche, Cacucci Editore, Bari 2013, pp. 398.
In tempi incerti e complessi, occorre Pensare la vita. Il progresso ci ha consentito di scalare vette imponenti
in ogni ambito, di raggiungere la dimensione immensa del cosmo e quella
infinitesimale delle nanotecnologie. Tramite queste conquiste, il genere umano
ha espresso potere, dissipandone una gran mole.
Il potere presenta aspetti ignoti a chi da esso si lascia
irretire: corrode l’integrità morale; disperde alcune certezze sostituendole
con altre fittizie; comporta la perdita del potere di controllarlo, un aspetto paradossale
ma inconfutabile.
Cambiamenti radicali hanno coinvolto l’uomo che al tempo
stesso è vittima ed aguzzino di se stesso.
A fronte delle minacce di morte nucleare ed ecologica alle
quali siamo costantemente sottoposti, l’ebbrezza del progresso ha ceduto il
posto ad antiche questioni filosofiche.
Gli sconvolgimenti climatici di cui l’umanità è artefice
potrebbero portare ogni forma di vita al crepuscolo. Per invertire la rotta
occorre un serio impegno individuale che ci induca a varcare la soglia delle
nostre certezze per protendere lo sguardo su una realtà ben più estesa: l’universo
vitale all’interno del quale ogni danno cagionato su scala ridotta vedrà il suo
effetto nettamente amplificato, spesso irreparabilmente. Tutto questo può
tradursi in un semplice lemma: consapevolezza,
la consapevolezza che ciò che accade a mille miglia da noi ci riguarda tanto
quanto una ferita purulenta sul nostro corpo.
C’è un vuoto intorno a noi, ma non è individuabile poiché
colmato dalla sostituzione del valore
col prezzo e dei valori con la materialità.
Si tratta di una grave frattura morale che, se impiegassimo il gergo medico,
definiremmo scomposta. Prendere
coscienza dell’esistenza di tale frattura potrebbe liberare un profondo senso di
angoscia e, al tempo stesso, portarci a riconoscere i problemi che ci
sommergono. È proprio questo il primo step per un nuovo inizio, per nuovi
ripensamenti sul cammino dell’umanità.
Si sta imponendo la necessità di sostituire alla volontà di potere la volontà di empatia.
Alla convinzione di detenere potere corrisponde un’enorme e
consolidata fragilità dell’io che viene placata dall’uso di antidepressivi e di
ansiolitici. Allo stesso tempo, gli individui non avvertono la scintilla vitale
e la ricercano in stimoli sempre più forti all’interno di una società
anestetizzata. Soffriamo di malattie
dell’anima: ne allontaniamo i sintomi assumendo farmaci dell’anima. La
vera cura risiede nell’affrontare i meandri dell’animo con un’introspezione
vigile.
La nostra missione non è quella di cambiare il mondo nella
sua immensità, ciò non solo è velleitario ma anche sbagliato. L’unica via
percorribile ce la segnala Epitteto, il quale insegnava che si deve cambiare il
mondo quotidianamente a partire dalle proprie singole azioni.
Numerosi sono gli elementi che occorre ripensare e
riconsiderare alla luce degli errori commessi e di una visione prospettica da
coltivare. Ad esempio, la felicità che ci affanniamo a ricercare ed inseguire come
fine della nostra vita e del nostro agire; quella stessa felicità che sovente
rischia di non essere il risultato della nostra arte di vivere, bensì il
prodotto di fattori esterni, non è un punto di approdo. È uno stato d’animo
temporaneo di cui gioire secondo la logica del carpe diem. Non è perenne
e non si ripete a intervalli regolari.
La
recensione è apparsa su «Lettera Internazionale», Rivista trimestrale europea,
Edizione italiana, IV trimestre 2013 N. 118, Arti Grafiche La Moderna, Roma
2014, p. 56.
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