Recensione: Giulia Maria Gallotta,
Oltre le colonne d’Ercole? La costituzione europea fra analisi storica e
prospettive future, Cacucci Editore, Bari 2010, pp. 275.
L’espressione mutuata dal campo mitologico
ed impressa nel titolo trova una duplice foce. Da un lato la prefazione svela
la fisionomia dei lettori cui l’opera è destinata: studenti e ricercatori
bramosi di approfondire il tema del dibattito costituzionale europeo, ma a fronte
della portata dei suoi argomenti, il testo resta un prodotto di nicchia e la
stessa Unione europea viene intesa dai cittadini comunitari come una realtà
lontana percepita al pari di una farragine o trascurata del tutto. Lo ha
dimostrato il turbinio di articoli in merito al caso dell’Irlanda alle prese
con il referendum per la ratifica del Trattato di Lisbona, il cui contenuto
pare sia stato compreso dagli esponenti del ceto medio da cui provenivano voti
positivi. L’Irlanda è l’unico paese a esprimersi con un referendum popolare e
non per via parlamentare come negli altri paesi membri. Tale impasse ci
conduce alla seconda foce, quella intesa e dichiarata dall’autrice stessa: se
la Cee/Ue è sorta attorno al modello federal funzionale di Jean Monnet, al quale
si unisce l’idea di dotare l’istituzione di un trattato costituzionale, oggi
quegli stessi obiettivi forse non sono più condivisi, tramutandosi in
metaforiche colonne d’Ercole che, se inserite nella storia del processo di
integrazione, divengono invalicabili.
L’istituzione intergovernativa
composta dai capi di stato e di governo che esamina le principali problematiche
del processo di integrazione europea, il Consiglio europeo, avanzò
ufficialmente l’idea di creare una costituzione nel 2001 con la Dichiarazione
di Laeken. Giunti a dover ratificare nel 2004 il Trattato Costituzionale,
questo fu bocciato dai referendum francese e olandese. L’aver riciclato un’alta
percentuale del contenuto del Trattato Costituzionale riproponendolo nel
Trattato di Lisbona ha portato con sé l’elemento cancerogeno del tormentato
iter di ratifica. La «cellula» propensa a infettarsi è proprio l’idea di una
costituzione europea. Ad essere smussata è stata la parte dal contenuto
simbolico esplicitamente costituzionale. Sulla linea di partenza del lavoro di
ricerca si collocano alcuni quesiti tra i quali spicca: «Perché tanto
accanimento contro la valenza costituzionale del trattato?». A partire dal
presente interrogativo prende il via la monografia. Si procede a ritroso nel
tempo alla ricerca del significato del concetto di costituzione del quale se ne
delinea un excursus. Fatte presenti le diverse accezioni del termine
costituzione, come ad esempio delineare la struttura delle istituzioni di uno
Stato ed il loro funzionamento, introdurre delle limitazioni al potere sovrano
o perseguire l’obiettivo della promozione dei diritti dei cittadini, abbiamo di
fronte una nozione ricorrente nella storia del pensiero politico.
Ripercorrere le principali tappe
dell’evoluzione del concetto di costituzione, individuandone i criteri
peculiari, è il modo mediante il quale l’autrice ritiene di poter comprendere
le stesse tematiche su larga scala.
Dalla Grecia antica alla Roma
repubblicana, passando per il De Legibus et consuetudinibus Angliae di
Henry de Bracton, il quale attuava una distinzione tra gubernaculum e iurisdictio
quando ancora i concetti di assolutismo e costituzionalismo non erano nemmeno
intuiti, si giunge all’Esprit des Lois, l’opera di Montesquieu, con la
quale si sviluppa un’idea moderna di costituzione concependo la teoria della
separazione dei poteri, a garanzia di un equilibrio perfetto in grado di
arrestare l’assolutismo, la stessa che viene operata nella costituzione
federale degli Stati Uniti (1787). La federazione avrebbe consentito di
conciliare due esigenze altrimenti in contrasto: gli States in quanto piccoli
stati garantiscono una migliore rappresentanza dei cittadini ed in quanto
grande stato assicurano forza internazionale.
Una questione ancor più delicata
è quella relativa alla nozione di potere costituente ripensando al «We the
people of the United States» oppure al «Qu’est–ce que le Tiers Etat». Nell’ambito
della Comunità europea è noto il ruolo forte degli Stati più che dei loro
cittadini. A suffragio di tale assunto vi è l’esempio dell’entrata in vigore
dei trattati vincolata dalla ratifica da parte di tutti gli Stati membri.
La difficoltà della ricerca
condotta risiede nell’argomento. L’idea di costituzione secondo l’analisi
cronologica condotta mostra il suo legame con lo Stato. Questo è un tassello
che non combacia con la realtà dell’Ue perché l’Unione non è uno Stato, bensì
un’organizzazione fra Stati dotata di competenze e non poteri. Senza poteri
vengono meno i deterrenti e questo fa dell’Ue una creta nelle mani dei suoi
Stati membri.
I primi progetti di Costituzione
per l’Europa sono da attribuirsi a Carlo Rosselli e Luigi Einaudi nel primo
ventennio del Novecento. Fu solo il primo ad impiegare il termine costituzione
a differenza di Einaudi che utilizzava il lemma organizzazione.
Nel 1951 nasce la Ceca con soli
sei stati fondatori seguendo il metodo federal funzionale di Monnet e
prevedendo il principio di sovranazionalità. I padri fondatori forse
prematuramente vollero avanzare il passo successivo istituendo la Comunità
europea per la difesa destinata a fallire irreparabilmente per via del riarmo
tedesco e dell’imprecisione sulla natura della comunità, federale o
confederale. Il trattato fondatore dell’Ue è il Trattato di Roma (1957) che
introduce organi come Commissione, Consiglio dei Ministri, Corte di Giustizia e
Assemblea parlamentare che dal ’79 diviene Parlamento europeo eletto a
suffragio universale diretto. Nel tempo si sono susseguiti progetti e documenti
di ispirazione costituzionale (Progetto Spinelli, Progetto Herman,
Progetto Penelope, ecc.), spesso presentati come fossero dei
trattati, ma che puntualmente si sono incagliati tra gli scogli dei dissensi
sulla questione costituzionalità. Ma per l’Ue gli anni ’90 avrebbero
rappresentato l’ennesima sfida: la riunificazione della Germania unita alla
caduta dei regimi comunisti esortano la Comunità ad adeguarsi ai nuovi scenari
geo–strategici. In vista dell’allargamento i trattati vengono rivisti. Con
maggiore chiarezza e determinazione si giunge nel 1999 ad elaborare una Carta
europea dei diritti fondamentali che pone al centro la persona e non il
cittadino e si impone sulla scena con il suo carattere costituzionale,
nonostante ciò la sua sorte sarà la proclamazione cui non farà seguito
l’approvazione.
Il concetto di
costituzionalizzazione dell’Ue riemerge nella giurisprudenza della Corte di
Giustizia, la cui sovranazionalità si esplica nell’applicabilità diretta, nel
primato del diritto comunitario e nel principio delle competenze esclusive
dell’Unione, come dimostrato da alcune sentenze, ma i giudici che la compongono
vengono nominati dai governi degli Stati membri e pertanto viene meno la
volontà dei popoli della Comunità.
Non manca la trattazione sulla
modalità di voto nei processi decisionali dell’Unione: unanimità e maggioranza
qualificata. Nel primo caso gli stati conservano la sovranità nazionale, mentre
nel secondo riconoscono la sovranazionalità dell’Ue. Inoltre ci si interroga
sulla possibilità di ravvisare in ambito europeo la separazione dei poteri tra:
l’organo di guida politica dell’Ue, il Consiglio europeo; il Consiglio dei
Ministri avente potere legislativo esercitato congiuntamente con il Parlamento
europeo; quest’ultimo svolge una funzione consultiva nei confronti della
Commissione europea dotata di monopolio di iniziativa e detentrice del potere
esecutivo condiviso col Consiglio. Alla Corte di Giustizia è affidato il potere
giudiziario e la capacità di creare diritti e doveri i cui effetti immediati si
estendono dagli Stati ai loro rispettivi cittadini.
L’ultimo di una futura serie di
travagli è spettato alla ratifica del Trattato di Lisbona. L’eco del «no» degli
irlandesi è stato assordante nonché lesivo verso un’Unione delicata e
perennemente percepita come distante. Se nel giugno 2008 fosse stato stilato un
elenco di conseguenze e possibili soluzioni per tale diniego e se fosse stata
ritenuta improbabile la concessione di una seconda opportunità di voto per
l’Irlanda, reputandola come dimostrazione di scarso rispetto della volontà
popolare, è invece stata proprio una nuova consultazione referendaria, tenutasi
il 2 ottobre 2009, a
restituire emoglobina alle sorti europee. Ogni epoca mostra le sue colonne
d’Ercole: oggi al posto di una sterminata massa d’acqua vi è l’idea della
concretizzazione di una costituzione europea temuta politicamente e socialmente
misconosciuta dai cittadini.
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