Recensione: Maria Federighi, Dall’abbandono all’assistenza. L’infanzia emarginata a Lucca
nell’Ottocento, Cacucci
Editore, Bari 2013, pp. 347.
Chiunque viva in un Paese sviluppato dove costantemente
aleggia il consumismo ha modo di osservare un certo tipo di infanzia,
l’infanzia inflazionata. Ma se l’osservatore volgesse il suo sguardo all’indietro,
di almeno due secoli, scoprirebbe quanto quella stessa fase della vita che oggi
è contornata di affetti ed eccessi fosse invece immersa nell’emarginazione e
nell’abbandono. Tuttavia in passato i meccanismi assistenziali attenuavano la
durezza di un’esistenza da orfano o esposto.
L’autrice ha condotto ricerche di alto tenore scientifico
che proiettano quasi con precisione millimetrica il lettore nella città di
Lucca nell’Ottocento.
Un viaggio nel tempo alla scoperta o riscoperta del fenomeno
dell’abbandono.
Un itinerario all’interno delle pagine più toccanti della
storia moderna.
Un percorso che non regge il paragone con il presente,
perché la storia non effettua analisi contrastiva, ma che ha il potere di
indurre alla riflessione non senza destare commozione.
L’abbandono ha radici profonde e cominciamo ad averne
notizie certe e documentate solo nei secoli dell’età moderna. Ne consegue un
lavoro di esplorazione di carte d’archivio per ridare luce alle vicende
quotidiane di quell’insieme di individui deboli e bisognosi.
Dopo l’Unità d’Italia a Lucca gli istituti preposti ad
accogliere questa porzione di popolazione erano l’ospedale di San Luca e la Pia
Casa di Beneficenza. Questi stabilimenti diventarono qualcosa che andava oltre
la semplice struttura fino a sostituirsi alla famiglia che aveva abbandonato un
figlio o un membro più adulto. Si trattava di una grande famiglia che si occupava
del mantenimento dei più fragili provvedendone ai bisogni immediati e cercando
di fornire loro delle possibilità di vita mediante strumenti utili per una
futura realizzazione personale, affinché anche il bambino che in una notte
lontana e fredda fosse stato abbandonato, ignudo o quasi, in una ruota degli
esposti o sulla soglia del portone di un istituto potesse crescere e diventare
un giovane di grandi speranze. Il loro destino era molteplice: l’elevata
mortalità infantile ne stroncava la triste vita prima dei cinque anni; una vita
senza affetti ne determinava un futuro da accattoni o da delinquenti; ma vi era
anche un gruppo di individui che riusciva a riscattarsi, si affermava nella
vita sociale e lavorativa e mostrava gratitudine verso l’istituto nel quale
aveva trovato un ricovero, un rifugio. Della fortuna di cui erano stati o direttamente
artefici o beneficiari casuali, vi è traccia nei documenti: persone adulte che
non avevano dimenticato il passato inviavano somme di denaro accompagnate da
scritti pieni di riconoscenza. Se ancora nessuna lacrima lambisce il vostro
volto, pensate alla miseria, alla povertà, ad un’infanzia relegata ai margini
della società civile; a una fanciullezza priva di tutela e sostegno familiare.
Sono tutte costanti che non hanno mai risparmiato l’infanzia. Questa delicata
questione sociale fu fronteggiata da una pluralità di istituzioni assistenziali
sia religiose che laiche.
L’opera lascia trasparire precisione metodologica preceduta
da un capitolo sulla storia della pratica dell’abbandono e dell’istituto
toscano, la Pia Casa di Beneficenza. Tale analisi diacronica è propedeutica
all’interrogazione attenta delle fonti quali i registri di ammissione e i
fascicoli personali dei bambini assistiti. Viene delineato il profilo
socio–demografico degli assistiti dalla Pia Casa di Beneficenza di Lucca e
descritti i modi e i tempi del vivere quotidiano dentro le mura dell’istituto.
Caposaldo delle politiche assistenziali è la formazione al lavoro e l’autrice
esamina i modelli educativi uniti ai percorsi di inserimento sociale. Non meno
importante è l’argomento della salute del minore, capitolo in cui si focalizza
l’attenzione sulla tutela e sulla cura delle malattie. Poiché i documenti che
registravano l’ingresso dei piccoli recavano anche informazioni sui genitori,
si può richiamare il quadro sociale e professionale della famiglia d’origine.
Rari ma non del tutto assenti sono i casi di riconoscimenti del figlio esposto
con conseguente ricongiungimento.
Affascinante è la ricostruzione del destino sociale che
attese i più piccoli.
La
recensione è apparsa su «Lettera Internazionale», Rivista trimestrale europea,
Edizione italiana, III trimestre 2013 N. 117, Arti Grafiche La Moderna, Roma
2013, p. 54.
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