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giovedì 26 ottobre 2017

Ritratti di famiglia e infanzia

     Recensione: Giovanna Da Molin (a cura di), Ritratti di famiglia e infanzia. Modelli differenziali nella società del passato, Cacucci Editore, Bari 2011, pp. 205.
     Breve e loquace nello stesso tempo. Si tratta del titolo di un testo, in questo caso l’allusione immediata è al ritratto, quello strumento personale o artistico che dona eternità a persone, oggetti, contesti. L’opera ci permetterà di recuperare le istantanee della società del passato, anzi i ritratti di famiglia e infanzia. Un ritratto possiede un’aura differente rispetto alla fotografia. Ogni pennellata, ciascuna sfumatura e ciascun gioco di luci e ombre sono ponderati dal pittore, attraversano il tempo e giungono fino all’osservatore odierno che dovrà dimostrare pazienza e sensibilità per poter cogliere ognuna di quelle tinte. Ci sono molti modi di osservare le tracce del passato rispettando il criterio della contestualizzazione e dell’avalutatività.
     Famiglia e infanzia sono interconnessi. La famiglia rappresenta la cellula più piccola della società, in genere è composta da genitori e figli e dunque costituisce la culla dell’infanzia. La famiglia odierna è caratterizzata da una fragilità, che spesso la interrompe, e da nuove forme come le convivenze. Dal volume emerge un preciso senso ed un’immagine della famiglia e dell’infanzia. Ma a quale tipo di infanzia siamo abituati? L’infante odierno vive circondato da cure, affetti ed eccessi. Nel 2007 in Italia sono state riproposte le ruote dei trovatelli, ma questa è una realtà che affonda le sue radici nei secoli dell’età moderna. Il sentimento dell’infanzia nasce in condizioni demografiche sfavorevoli caratterizzate da elevata natalità e mortalità che falcidiava i piccoli nei primi anni di vita rendendo difficile il raggiungimento del quinto anno d’età. La storia della famiglia ha subito notevoli trasformazioni nel corso dei secoli, mutamenti di forma, struttura, funzioni e valori, e gli scavi archivistici ci restituiscono una visione parziale delle epoche passate.
Giovanna da Molin ritratti di famiglia e infanzia Silvana Calabrese     Uno dei capitoli di storia moderna tra i più toccanti e, paradossalmente, tra i più floridi per gli studiosi è quello dell’infanzia abbandonata con le sue innumerevoli tracce. Un ambito altrimenti inesplorabile se considerassimo il fanciullo all’interno del nucleo familiare. L’abbandono dei bambini era un fenomeno dai connotati allarmanti dettato da condizioni di miseria o dal disonore laddove le origini fossero state illegittime. L’istituzione della ruota, posta all’esterno di brefotrofi e orfanotrofi, fu l’unica possibilità di sopravvivenza per i figli non voluti che insieme avrebbero condiviso lo svantaggio della censura delle proprie origini e una vita insieme a numerosi orfani ed esposti.
     Il saggio di Angelo Bianchi, Famiglie povere nella Milano della Restaurazione. Note su assistenza agli orfani e condizione vedovile, propone un’analisi dei fascicoli relativi all’infanzia e alla gioventù orfana di Milano alla scoperta di giornate, mesi, anni di permanenza in istituto tra carriera scolastica e avviamento al lavoro. È emerso che venivano ceduti all’orfanotrofio nella maggior parte dei casi gli orfani di padre perché nel nucleo, venuta a mancare la figura di riferimento reddituale, la situazione economica subiva un tracollo con rotta verso l’indigenza.
     Un tema attuale osservato in prospettiva storica è invece quello trattato nel contributo Fanciulle violate: i processi criminali a Bari nel XIX secolo. Il Tribunale, per mezzo delle deposizioni nei verbali dei processi, si erge a luogo in cui persone di ogni ceto hanno potuto imprimere nella storia parte delle loro azioni quotidiane. I delicta carnis, ovvero i reati sessuali dovevano però fronteggiare l’inossidabile paratia di omertà comprensibile se contestualizzata: le vicende di abusi si collocano sullo sfondo di una società incentrata sulla tutela dell’onore e sulla verginità prematrimoniale. Dall’analisi dei processi istruiti presso la Corte di Assise di Bari si evincerà il ruolo dell’infanzia nella società ottocentesca unita ai rapporti interpersonali tra familiari, coniugi e alle possibili reazioni popolari alla notizia di uno stupro. Spesso il carnefice vive nella stessa abitazione della vittima, dunque la violenza diviene domestica e talvolta sconfina nell’uxoricidio con il medesimo denominatore della società attuale: l’inesistenza di distinzioni culturali, economiche o anagrafiche.
     Ad allestire il teatro di un abuso minorile erano proprio le condizioni di vita infantile, sempre tanto vulnerabile alla premeditazione o al raptus di un malintenzionato.
     Rossella Del Prete esamina l’articolazione socio–professionale della famiglia dei musicisti a Napoli in età moderna perché il nucleo familiare di appartenenza ha un preciso rilievo nella formazione del musicista. Sorse l’educazione musicale volta ad inserirsi nella formazione dell’uomo comune dato che la richiesta di musica coinvolse anche gli usi profani ed il mondo cristiano. Ma all’infanzia abbandonata nei conservatori toccò un aspetto poco gratificante dell’istruzione musicale: è il caso degli eunuchi, castrati in età prepuberale al fine di sfruttare le particolari doti vocali dei bambini conservandone il timbro dolce ed acuto.
L'Aquilone Daniele Giancane Silvana Calabrese     Annamaria de Pinto presenta Reclusione e malattia nel Real Ospizio di Giovinazzo nell’Ottocento sottolineando le precarie condizioni in cui versavano i reclusi negli istituti assistenziali del Regno di Napoli. Alla premura pedagogica volta a formare buoni e onesti cittadini si contrappone un’alimentazione scarsa e inadeguata. Si pensi che una bevanda usuale per l’epoca era il vino come surrogato dell’acqua in genere non potabile. Scarsa l’igiene, per nulla arieggiati e luminosi gli ambienti quali il dormitorio: questi sono alcuni dei fattori causa dell’insorgenza di malattie letali.
     L’inserimento attivo nel mondo del lavoro in età moderna ha da sempre costituito una premura finalizzata a non vanificare gli sforzi dell’istituto assistenziale che si occupava dei piccoli orfani ed esposti. Le macchine assistenziali avevano il compito di indirizzare la frangia più fragile dell’infanzia verso un destino sociale proteso al miglioramento. Lo dimostra Maria Federighi nel saggio Dentro e fuori le mura. Assistenza e formazione al lavoro dei fanciulli nella Pia Casa di Beneficenza di Lucca nell’Ottocento. Il lavoro si prospetta come strumento disciplinare e di controllo sociale e di prevenzione di episodi di devianza. L’opera di scavo archivistico ci regala documenti che hanno il pregio di suscitare commozione in chi li studia, come si desume dalla storia di un orfano di ambo i genitori, allevato in istituto, avviato al lavoro e divenuto benestante e che all’apice della sua carriera professionale effettua una donazione corredata da una lettera in cui esprime gratitudine verso l’istituto che gli ha fornito aiuto nel momento di estremo bisogno.
     Carla Ge Rondi delinea la Vita in famiglia in due comunità del territorio pavese agli inizi dell’Ottocento, Voghera e Vigevano che ricalcano il modello familiare presente nella penisola: famiglia nucleare composta da genitori e figli. Marcata è la presenza di vedove rispetto ai vedovi a Voghera, mentre opposto è il trend di Vigevano. L’autrice si interroga sui fattori che spieghino tale differenza come il ritorno di una vedova presso la famiglia d’origine e la propensione o meno a contrarre le seconde nozze da parte dei vedovi di Vigevano.
     Silvana Raffaele pizzica le sottili corde delle Strategie matrimoniali e patrimoniali. Dinamiche familiari nella Sicilia moderna: monaci, suore, cavalieri e «maritati». Si tratta di famiglie aristocratiche le cui azioni risentono delle formule riconducibili alla gestione del potere e alla conservazione del patrimonio. La successione ereditaria seguiva pedissequamente l’ordine di genitura in linea maschile. Spesso le figlie, per non disperdere il patrimonio, venivano destinate alla monacazione priva di vocazione, ma in altri casi almeno la primogenita poteva maritarsi, previa concessione della dote, imbastendo così dei legami di parentela con altre famiglie.
     Flores Reggiani illustra La costruzione dell’identità sociale degli esposti bollati come malavitosi in potenza. Eppure la loro vita in ospizio era orientata a una rigida disciplina per la quale l’inosservanza di una norma prevedeva una punizione severa.
     Raffaella Salvemini spiega La gestione delle Annunziate in età moderna: il caso di Aversa e Cosenza. A fronte di rendite scarse si prospettava una notevole difficoltà nella gestione delle opere pie spesso anticamere della morte per i piccoli trovatelli. La ripercussione immediata riguarda la condizione dei projetti. Numerosi sono i casi in cui mancano i registri relativi alla gestione degli istituti, si tratta di una situazione frutto di negligenza che è stata rilevata dalle inchieste del tempo e negativamente giudicata da ispettori incaricati di stilare delle relazioni sugli esposti.
     In un’indagine multiscopo dell’Istat sugli aspetti della vita quotidiana, datata 2010, ho constatato che la disoccupazione rappresenta uno dei maggiori problemi nel novero di quelli percepiti dai cittadini italiani. La disoccupazione equivale all’assenza di lavoro.
     Dal volume ho potuto desumere l’accezione che il lavoro aveva nei secoli dell’età moderna.
     Se dovessi attribuire un aggettivo a lavoro, sceglierei precoce. Specialmente nelle famiglie di addetti all’agricoltura i figli maschi erano considerati forza–lavoro.
     Prendendo in esame gli studi condotti sugli istituti assistenziali emerge che:
-          l’avviamento professionale era una premura al fine di non vanificare gli sforzi dell’istituto;
-          l’occupazione manuale era uno strumento disciplinare, scandiva le giornate bandendo i possibili disordini legati all’inoperosità (all’interno dell’istituto);
-          il lavoro era uno strumento di controllo sociale proteso a evitare manifestazioni di devianza e di marginalità (nella società);
-          l’esercizio di una professione fin dalla giovane età rappresentava un’opportunità di socializzazione al di fuori dell’istituto. Ad esempio avveniva un’integrazione del giovane con il nucleo familiare del datore;
-          il lavoro rappresentava altresì un elemento che rendeva possibile un’elevata realizzazione personale come testimoniato dalla lettera di ringraziamento dell’industriale ex ricoverato nella Pia Casa di Beneficenza di Lucca, Umberto Asciutti, orfano di ambo i genitori (pp. 108–109);
-          vi sono anche casi in cui il lavoro poteva tramutarsi in anticamera della morte come recita la descrizione della disgrazia avvenuta all’orfano di padre Stefano Francescani, deceduto all’età di 14 anni per essere caduto, nella bottega del fabbro ferraio, su di un ferro che gli ha trapassato la mascella esponendolo al tetano (pp. 105–106). Questo episodio si colloca tra le pagine più toccanti dell’infanzia moderna: quella abbandonata e quella orfana


     La recensione è apparsa su «L’Aquilone», Rivista di letteratura giovanile, anno 2012, N. 7, Mario Adda Editore, Bari 2012, pp. 74–78.

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