Il
lavoro rimane l’identità di ciascuno
Come abbiamo
trascorso la festa dei lavoratori? Quanti italiani hanno potuto osservarla? Nel
XXI secolo il lavoro è ancora riconosciuto come diritto dalla Costituzione, ma
si è tramutato nella ricerca estenuante di un impiego. La disoccupazione è un
male dilagante che travalica frontiere e trafigge animi. In passato le cose
andavano meglio? Il genere umano ha di certo conosciuto periodi aurei
intervallati da micro picchi di crisi. Proviamo a viaggiare indietro nel tempo
per recuperare le caratteristiche identitarie del concetto di lavoro.
Nel corso
delle epoche storiche, l’accezione di lavoro si è arricchita di sfumature. Qualche
tempo fa ho partecipato a un convegno inerente ai percorsi di storia sociale
nel periodo dell’età moderna e ciò che ho udito si è legato ai miei studi
permettendomi di maturare una più ampia visione in merito al tema. Se dovessi
attribuire un aggettivo a lavoro, sceglierei precoce. Specialmente nelle
famiglie di addetti all’agricoltura o all’artigianato i figli maschi erano
considerati forza–lavoro. Prendendo in esame gli studi condotti sugli istituti
assistenziali, che accoglievano orfani ed esposti, emerge che: l’avviamento
professionale era una premura al fine di non vanificare gli sforzi
dell’istituto; l’occupazione manuale era uno strumento disciplinare, scandiva
le giornate bandendo i possibili disordini legati all’inoperosità (all’interno
dell’istituto); il lavoro era uno strumento di controllo sociale proteso a
evitare manifestazioni di devianza e di marginalità (nella società); l’esercizio
di una professione fin dalla giovane età rappresentava un’opportunità di
socializzazione al di fuori dell’istituto. Ad esempio avveniva un’integrazione
del giovane con il nucleo familiare del datore; il lavoro rappresentava altresì
un elemento che rendeva possibile un’elevata realizzazione personale come testimoniato
dalle lettere di ringraziamento di industriali orfani di ambo i genitori ed ex ricoverati
nelle case di beneficenza; vi sono anche casi in cui il lavoro poteva
tramutarsi in anticamera della morte come recitano le descrizioni di alcune
disgrazie come quella avvenuta all’orfano di padre deceduto a 14 anni per
essere caduto, nella bottega del fabbro ferraio, su di un ferro che gli ha
trapassato la mascella esponendolo al tetano. Ecco un parziale spaccato dei
contesti dominati da una costante presenza di occupazione. Tutto questo fa del
lavoro da sempre una dura realtà… dal valore inestimabile.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”,
26 maggio 2014, p. 14.
Nessun commento:
Posta un commento