Mio figlio ha la sindrome di Tourette; il mio è dislessico;
il mio è disgrafico; il mio ha la sindrome di down; il mio è ipovedente. E il
tuo prossimo esclamerà: «poverino, che ne sarà di lui? Come farà a condurre una
vita normale? Probabilmente non raggiungerà mai degli obiettivi. Meglio che non
abbia ambizioni». Sono frasi da biscotto della fortuna, sono il sintomo
evidente che in molti soffrono di una grave sindrome: l’assenza di sensibilità.
L’eziologia è nota. Le cause risiedono nell’obsolescenza della buona
educazione, ma in particolar modo nell’ignoranza che spesso pervade anche gli
addetti ai lavori. Ciascuno di noi può dirsi ignorante se è distante dalla
capacità di comprendere e cercare di intravedere una possibile soluzione. Questi
disturbi convergono verso un altro sintomo che di certo vi è familiare. Si
tratta del lamentarsi. Fateci caso: non siamo mai contenti o soddisfatti di
nulla, c’è sempre qualcosa che ci offre un motivo giornaliero per piagnucolare.
Ovviamente l’azione del brontolare assorbe più energia di una centrale
nucleare, pertanto siamo così presi dai nostri pseudo–problemi che stentiamo a
mettere a fuoco la realtà che ci circonda, la stessa che ospita le difficoltà
concrete. Cerchiamo una soluzione ponendoci dal punto di vista di chi vive un
ostacolo e incrocia quotidianamente anche solo lo sguardo, più che loquace, di
chi prova pena. Poiché la vita, come la cultura, non è fatta di compartimenti
stagni, i discorsi si intersecano. È il caso dei tanti insegnanti precari che
della loro condizione si dolgono, ma quanti di loro intraprendono un percorso
formativo che li conduca alle competenze tali da ricoprire il sostegno? Cito
questa categoria perché gli insegnanti elementari sono i primi in lizza a
sollevare il problema della scrittura disorganizzata dei propri allievi, in
gergo disgrafia, e «si lamentano» perché risulta arduo seguirli. Passiamo alla
donna che nella maternità vede presentarsi al suo cospetto una sfida
perennemente appesantita da una società di individui incapaci di affrontare
ogni sorta di problematica e ben più abili nell’imboccare scorciatoie. Quella
donna, nonostante le circostanze rendano dure le giornate più soleggiate, è
fiera ed orgogliosa dei progressi di suo figlio. Cerca di sopperire alla
carenza di competenze del suo prossimo e guida il bambino nel percorso di
studi. Si ingegna nell’ideare un metodo che aderisca alle attitudini cognitive
del fanciullo rese differenti dalla disabilità, una dote del nascituro e fedele
compagna di vita. La scuola non deve creare un discrimine tra gli allievi e gli
insegnanti dovrebbero interrogarsi sulle proprie inclinazioni verso la
didattica oltre che la finanza personale.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 6 marzo 2014, p. 32.
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