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venerdì 24 ottobre 2014

Fukushima: l’età dell’incertezza nell’era energetica

     Ci siamo illusi che il progresso scientifico e i trionfi della tecnica potessero rendere migliori le nostre vite. L’uomo di oggi si chiede (?) fino a che punto i rischi derivanti dal progresso scientifico siano giustificabili.
Abbiamo evidenti difficoltà a preservare l’ambiente che ci ospita.
Dall’11 marzo Fukushima ci terrorizza e ci ricorda che nell’aprile del 1986 il mondo visse momenti da incubo per via dell’incidente nucleare di Chernobyl dovuto all’incendio di un reattore che causò una grave contaminazione. Pochi rammentano però che si tratta solo dell’ultimo caso di una lunga serie di pericolosi incidenti: 1957, Windscale (GB): incendio di un reattore, contaminazione di 800 Kmq di suolo; 1958, Urali: esplosione di un deposito di scorie che contaminò vaste zone di terreno; 1968, Detroit: fusione del nucleo di un reattore autofertilizzante, gravi rischi di contaminazione; 1969, Colorado: incendio di un deposito di scorie con emissione di plutonio; 1972, New York: esplosione di un impianto di plutonio; 1975, Brows Ferry (USA): con una candela un operaio provocò un incendio che mandò in tilt cinque sistemi di emergenza; 1977, Windscale: con un mese di ritardo (questo ci terrei a sottolinearlo) fu denunciata la perdita di 2 milioni di acqua radioattiva; 1979, Harrisburg (USA): l’errore di un tecnico provocò un gravissimo incidente che distrusse un reattore; 1981, Windscale: una nube di iodio 131 invase le campagne circostanti contaminando i rifornimenti locali di latte.
La questione della sicurezza delle centrali nucleari è sempre stata al centro di dibattiti tra il pericolo incombente e la presunzione circa la massima affidabilità delle centrali. L’Italia allontanò l’idea di attuare programmi nucleari con il referendum popolare del 1987, mentre altri paesi industrializzati come il Giappone hanno fatto dell’energia nucleare il centro dei loro programmi energetici. Mi chiedo perché non si sia tenuto conto dei due maggiori problemi legati alla radioattività e che minano tali progetti: movimenti sismici o attività vulcanica e maremoti possono rendere instabile il suolo e compromettere l’isolamento dei reattori.
Sulla base dei miei studi posso affermare che il Giappone non è la sede adatta ad accogliere centrali nucleari, ma so anche che la motivazione a costruire centrali è quella di diminuire la dipendenza di un paese dall’estero per gli approvvigionamenti energetici. Forse siamo privi di una conoscenza sociale che ci renda realmente consapevoli dei delicati equilibri ambientali.
     Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 2 aprile 2011, p. 24.

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