Ci siamo illusi che il
progresso scientifico e i trionfi della tecnica potessero rendere migliori le
nostre vite. L’uomo di oggi si chiede (?) fino a
che punto i rischi derivanti dal progresso scientifico siano giustificabili.
Abbiamo evidenti difficoltà a
preservare l’ambiente che ci ospita.
Dall’11
marzo Fukushima ci terrorizza e ci ricorda che nell’aprile del 1986 il mondo
visse momenti da incubo per via dell’incidente nucleare di Chernobyl dovuto
all’incendio di un reattore che causò una grave contaminazione. Pochi
rammentano però che si tratta solo dell’ultimo caso di una lunga serie di
pericolosi incidenti: 1957, Windscale (GB):
incendio di un reattore, contaminazione di 800 Kmq di suolo; 1958, Urali: esplosione di un deposito di scorie che
contaminò vaste zone di terreno; 1968, Detroit:
fusione del nucleo di un reattore autofertilizzante, gravi rischi di
contaminazione; 1969, Colorado: incendio di un
deposito di scorie con emissione di plutonio; 1972,
New York: esplosione di un impianto di plutonio; 1975,
Brows Ferry (USA): con una candela un operaio provocò un incendio che mandò in
tilt cinque sistemi di emergenza; 1977, Windscale: con
un mese di ritardo (questo ci terrei a sottolinearlo) fu denunciata la perdita
di 2 milioni di acqua radioattiva; 1979, Harrisburg
(USA): l’errore di un tecnico provocò un gravissimo incidente che distrusse un
reattore; 1981, Windscale: una nube di iodio 131
invase le campagne circostanti contaminando i rifornimenti locali di latte.
La questione della sicurezza delle centrali nucleari
è sempre stata al centro di dibattiti tra il pericolo incombente e la
presunzione circa la massima affidabilità delle centrali. L’Italia allontanò
l’idea di attuare programmi nucleari con il referendum popolare del 1987,
mentre altri paesi industrializzati come il Giappone hanno fatto dell’energia
nucleare il centro dei loro programmi energetici. Mi chiedo perché non si sia
tenuto conto dei due maggiori problemi legati alla radioattività e che minano
tali progetti: movimenti sismici o attività vulcanica e maremoti possono
rendere instabile il suolo e compromettere l’isolamento dei reattori.
Sulla base dei miei studi posso affermare che il
Giappone non è la sede adatta ad accogliere centrali nucleari, ma so anche che
la motivazione a costruire centrali è quella di diminuire la dipendenza di un
paese dall’estero per gli approvvigionamenti energetici. Forse siamo privi di una conoscenza sociale che ci renda realmente
consapevoli dei delicati equilibri ambientali.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”,
2 aprile 2011, p. 24.
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