Il genere
horror, editoriale e cinematografico, nasce con l’obiettivo di sdrammatizzare
la paura della morte perché essa è il solo elemento sul quale non possiamo
esercitare alcun controllo. È inevitabile. È l’unico appuntamento che non
potremmo mai disertare. Inoltre ci rende uguali e umili. Ma recenti fatti di
cronaca dimostrano che l’abbiamo sdrammatizzata eccessivamente.
Può capitare
di essere colti da malore improvviso al mare, in acqua, e di lasciarci le
penne. La corrente o un bagnante riporta il corpo a riva. Si avvisano le forze
dell’ordine e sulla salma si posa un telo bianco. Cosa accade intorno? Quello
che non ci si aspetta. La stampa riporta tragedie (annegamenti) avvenuti in
luoghi diversi, ma che presentano il medesimo scenario post mortem: i bagnanti hanno continuato a prendere il sole,
giocare sulla sabbia, fare il bagno, giocare a palla o con i racchettoni… hanno
continuato a vivere e a gioire a pochi metri da quei corpi coperti da un
lenzuolo. È tutto regolare: un corpo senza vita giace sul bagnasciuga e la cosa
non turba e non suscita altro sentimento che l’indifferenza, talvolta
accompagnata al desiderio di scattare qualche macabra fotografia. Non il
silenzio o il raccoglimento, ma tuffi, risate ed il solito vociare equoreo,
perché un cadavere in spiaggia è un evento ininfluente. Si tratta forse di horror vacui? In fisica questa
locuzione latina indica che la natura ha l’orrore del vuoto e perciò lo riempie costantemente (in
realtà l’esperimento di Torricelli sfatò la teoria aristotelica). Forse noi,
come la natura vogliamo sopperire al vuoto della fine di un’esistenza? No, non
siamo così profondi, almeno non più profondi di una pozzanghera.
L’indifferenza
generale è stata stroncata solo dopo l’esortazione da parte dei membri del
soccorso pubblico e della difesa civile ad assumere un comportamento dignitoso.
Perché tutto
questo dovrebbe tangerci? Forse è un modo per soffermarci a riflettere su un
fenomeno che ha già prodotto in noi assuefazione. Ogni giorno svolgiamo le più
disparate attività camminando (qui sarebbe meglio il termine ambivalente
“errando”) tra una lunga serie di valori ormai defunti ed imputriditi. E di
fronte a questo scenario di morte siamo e restiamo indifferenti.
Da “La
Gazzetta del Mezzogiorno”, 22 giugno 2013, pag. 16.
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