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mercoledì 7 settembre 2016

Celiachia? Credo che rafforzi il carattere

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     A scrivervi è Silvana, una ventiquattrenne che alle tre armi della scherma ne vorrebbe aggiungere una quarta: fioretto, spada, sciabola e… penna. In genere i miei scritti sono finalizzati al far emergere discrepanze sociali, ma oggi proverò con voi a guardarmi allo “specchio”.
In qualità di unico caso nel mio nucleo familiare, la celiachia si è manifestata durante il periodo dello svezzamento e l’iter diagnostico è stato piuttosto travagliato, cagionando uno stato di costante apprensione nei miei genitori. Ricordo perfettamente la biopsia intestinale: indossare una specie di camicia di forza all’età di tre anni deglutendo un filo infinito è un’esperienza che non si dimentica. La sensazione provata fu quella di una punizione subita per aver commesso un’irreparabile marachella.
     Vivo bene la celiachia e ne osservo rigorosamente la dieta priva di glutine, ma temo gli effetti della possibile “contaminazione” provocata dalla promiscuità degli alimenti in un ristorante, anche se inserito nel network, o nelle abitazioni di parenti ed amici.
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     Da bambina, quando stavo per cominciare ad andare all’asilo o partecipare alle feste di compleanno, i miei si trovarono a dover fronteggiare un nuovo tipo di educazione, quella alimentare. Rammento con esattezza il loro modo di affrontare la cosa: non dovevo farmi tentare dall’assaggio di prodotti vietati, non dovevo disperarmi nel vedere gli altri gustare pietanze per me bandite e mai avrei dovuto pretendere che parenti e amici si privassero di cibi appetitosi in mia presenza. Tutto questo perché – sostenevano – l’intolleranza è un mio problema. Fu questo il primo insegnamento candidato a diventare una lezione di vita. Quella frase mi ha resa combattiva, determinata nella dieta come nello studio e come nelle relazioni con gli altri.
     Scoprendo poi che papà e mamma tolleravano talvolta, durante i pranzi in famiglia nel periodo della mia infanzia, che per sbadataggine il mestolo impiegato per la pasta di grano fendesse anche le acque del mio tegame, ho maturato un atteggiamento che ora non mi abbandona più. Il desiderio dei miei genitori di non mostrarsi troppo polemici agli occhi dei parenti, li ha resi caratterialmente deboli ai miei. Assunte le redini della mia dieta, ho reazioni un po’ ruvide verso chi commette errori, ma sono sempre più certa che non si possa fare affidamento alla cucina di zii e nonni perché privi di quelle sottili attenzioni insite nel celiaco.
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     Eppure un imperdonabile sbaglio l’ho commesso anche io. Da adolescente non ancora dotata di capacità dialettiche, appoggiai la strana teoria elaborata da mio padre in merito alla possibilità che la diagnosi fosse inesatta e che quindi non fossi celiaca. Un giorno facemmo una prova: avevo preparato un lungo elenco di pietanze, rustici e pasticcini che avrei voluto assaggiare per la prima volta, ma da quella lunga lista spuntai solo i primi due elementi. Bastarono i primi bocconi per farmi avvertire un dolore all’altezza dello sterno. Lo ignorai e portai a termine il pasto. Subito dopo cominciai a sentirmi poco bene al punto tale che fui costretta a stendermi. Trascorso poco tempo tutto quello che avevo mangiato non superò il piloro, non giunse mai nel duodeno. Da quel momento imparai a difendere la mia intolleranza a ogni costo e da chiunque, e probabilmente me ne sono affezionata.
     Mi preoccupa l’attuale organizzazione dei reparti panetteria e salumeria dei supermercati di cui sono cliente: sono stati unificati. Inoltre il pane viene imbustato in sacchetti traforati, cosa che comporta una dispersione di briciole e farina ovunque, dal carrello alla pedana scorrevole delle casse. Fatta la spesa e tornata a casa, è mia premura ripulire ogni prodotto per escludere il rischio di “inquinare” tutto.
     C’è dell’altro. Forse dipende dal mio segno zodiacale, il Capricorno, che per antonomasia conferisce un carattere inflessibile, caparbio ed intransigente, ma non riesco proprio a tollerare l’insistenza di chi ignora il problema ed ha la presunzione di imporsi nella mia dieta.
     La celiachia non è un ostacolo per me, lo è solo in caso di viaggi, ma ritengo che l’attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica non possa mai dirsi compiuta.

     L’articolo è apparso su «Celiachia Notizie», periodico di informazione e cultura sulla celiachia, rubrica “Specchio della celiachia”, anno 2012, n. 1, p. 108.

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