La
battuta di Belloli ci porta indietro di un paio di secoli
Ricordate
l’infelice battuta del Ministro dell’Economia e delle Finanze Tommaso
Padoa-Schioppa sui bamboccioni? Era il 2007 e fece un gran clamore mediatico
che lese la sensibilità oltre che la dignità di una fascia generazionale dai 18
ai 34 anni. L’Italia è fatta di remake e nuovi adattamenti. Oggi tocca al
Belloli sollevare cenere e lapilli. Felice Belloli in qualità di presidente
della Lega Nazionale Dilettanti scarica una saetta contro il calcio femminile,
apostrofandolo come il calcio delle «quattro lesbiche». Ed è subito polemica
aspra. L’espressione lessicale poco colta investe l’intera società facendola
retrocedere di un paio di secoli. Dal progresso al regresso in un nanosecondo.
È una sferzata allo sport inteso come precursore di buona salute. È un richiamo
alla discriminazione sessuale che vede il calcio appannaggio esclusivo degli
uomini. Le origini delle pratiche sportive si perdono nella notte dei tempi. Erano
una prerogativa maschile e di chi aveva il dono di una buona costituzione. Col tempo
le cose sono cambiate e l’attività fisica ha accolto persone gracili, donne,
bambini e disabili perché essa ha il pregio di rinvigorire il corpo e lo
spirito.
Analizzando il
contemporaneo è innegabile l’affetto profondo che ci lega esclusivamente al
calcio maschile i cui campionati ci radunano in poltrona o negli stadi. Per
godere di maggiore rispetto il calcio in rosa dovrebbe imporsi e proporsi in
maniera diversa. Alla società italiana non serve un doppione calcistico. Le
squadre di calcio femminile devono mostrare a un’intera nazione il loro
carattere di unicità divenendo un esempio di civiltà. In campo non si sputa e le
risse con le giocatrici avversarie o con l’arbitro vanno evitate, lo fanno già
gli uomini! Pierre de Coubertin (1863-1937), pedagogista, storico francese e
fondatore dei moderni giochi olimpici pronunciò una massima «L’importante non è
vincere ma partecipare». Intendeva dire che è fondamentale impegnarsi a fondo e
disputare un buon incontro, ma con l’obiettivo di divertirsi e non con
l’impulso di annientare l’avversario. Vincere è indubbiamente gratificante, ma
non rappresenta lo scopo. È richiesta moderazione e umiltà nelle esaltazioni
così come nelle sconfitte.
Il calcio
femminile non è come lo si vuole fare apparire nelle pagine di cronaca sportiva,
in cui si dimostra maturità nella sconfitta e sobrietà nella vittoria.
Educazione, rispetto per il prossimo, diplomazia, sana aggregazione,
accettazione serena della sconfitta o della retrocessione sono i cardini sui
quali edificare il calcio in rosa affinché si sviluppi in parallelo rispetto a
quello maschile, ma senza imitarlo.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”,
3 giugno 2015, p. 24.
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