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venerdì 26 settembre 2014

Cantami o Diva l’Università senza studenti

     Provate a immaginare un’Università priva di studenti... Ora leggete la lettera e comprenderete perchè gli studenti sono stati colpiti da un’acuta forma di demotivazione.
     «Cantami, o Diva, del Pelíde Achille l’ira…». Così si apre l’Iliade, uno dei più grandi poemi dell’umanità, scritta da Omero. Si tratta della tradizionale invocazione rivolta alla Musa Calliope, che presiedeva alla poesia eroica ed è considerata fonte di ispirazione. Ho apportato una modifica, «Cantami, o Diva, l’ira dell’Infausto Allievo», per narrarvi la storia di un naufragio che non riesce ad avvenire. Ma se trasponessimo l’intera storia in un mondo immaginario, essa potrebbe assumere il tono di una barzelletta. C’erano una volta tre isole didattiche all’Università di Bari, probabilmente le più grandi dell’arcipelago accademico. Con le postazioni multimediali, ognuna dotata di pc, rappresentavano un approdo sicuro per i «lupi del web», intenti a svolgere ricerche, scrivere tesine o tesi di laurea, compilare il questionario Almalaurea o le domande di immatricolazione ed iscrizione. Gli allievi si sentivano sereni, ne osservavano le regole, e in caso di problemi erano coadiuvati da un tecnico o un tutor. Poi qualcosa è cambiato, forse a causa di uno sconvolgimento tellurico (perdonate l’ironia, mia fedele compagna) e le isole sono scomparse, o meglio, una è stata chiusa (plesso di Via Beata Elia), un’altra è priva di connessione a Internet ed è venuta a mancare anche la stampante (plesso di Via Q. Sella), l’ultima invece appare e scompare, un po’ come quelle isolette di origine vulcanica che vengono sommerse per poi riemergere dalle acque (Palazzo Ateneo, terzo piano, lato Crisanzio).
     Sono sempre stata dell’idea che il corpo studentesco rappresenti il fondo della catena alimentare, ma lo status quo non è certo dei migliori. Nel momento in cui si riusciva a intravedere la silhouette dell’ultima isola, dell’ultimo possibile approdo, ci si è ritrovati soli in balia della corrente, ora trascinati da essa, ora respinti dalla risacca, ma sempre circondati da ettari ed ettari di oceano aperto.
     Per fare naufragio servirebbe almeno un’isola, anche la più deserta o infestata da varani giganti, oppure, per non avere troppe pretese, semplicemente uno scoglio in mezzo al mare.
     Come si può notare, abbiamo delle risorse in patria, ma le lasciamo in stato di abbandono, infatti ora le isole didattiche somigliano molto a dei locali posti sotto sequestro. E la cosa va avanti già da due anni.
     La sottoscritta, nel pieno delle sue facoltà mentali nonché sarcastiche, ha esaudito il desiderio di quanti volevano che estraessi la penna dal fodero per far conoscere la triste realtà degli studenti. Anche a me spetta un desiderio: non voglio che questo diventi un poema da tramandare nei secoli, preferisco le soluzioni piuttosto che una fama diacronica.
     È trascorso del tempo, ma oggi manca all’appello solo l’isola di Via Beata Elia.

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